protestors at wall street

Gli uomini dopo i quarant’anni non dovrebbero fare più politica.
Dovrebbero dipingere acquerelli, trovarsi un lavoro, scoprire le gioie del sesso, leggere tutti i libri che non hanno potuto leggere prima, accumulare soldi e investirli, dedicarsi ai propri compagni, ai figli – se li hanno – o riprodursi – se ne hanno voglia –, farsi un cane e portarlo a passeggio intrecciando nuove amicizie, imparare uno strumento musicale, che so, la fisarmonica, il mandolino. Dovrebbero scrivere le proprie memorie se hanno qualcosa di memorabile da raccontare o studiarsi quelle di chi qualcosa di memorabile l’ha fatto davvero.  Dovrebbero fare qualsiasi cosa, meno che la politica.
La politica è una cosa che si fa da giovani, quando sei ancora abbastanza scriteriato da credere che il mondo si possa cambiare davvero, quando hai energia e entusiasmo, quando scopri che quello che fai può spostare le cose, ed era inimmaginabile che quattro sciagurati ci riuscissero contro dinamiche così fantastiche e impalpabili e terribili.
Dopo i quarant’anni, se hai proprio voglia di fare politica, puoi andare alle manifestazioni, portando la tua bandierina o appuntandoti una spilla sul bavero, o impegnarti nel tuo quartiere o nella tua cittadina, perché ci sia una illuminazione migliore o il postino suoni sempre due volte, perché le aiuole dei giardini pubblici vengano curate o non costruiscano quell’ennesimo centro commerciale dove c’era una vecchia fabbrica di laterizi.
La politica è per i giovani, che sono generosi e rischiano di proprio.

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