
Chissà se la cancel culture, prima o poi prenderà di mira i film di Lina Wertmuller. Anarchici, comunisti, operai, bombaroli, guappi, prostitute, disertori, drogati, terroristi, mafiosi, buttane industriali – popolano i suoi film. Personaggi estremi, che parlano e agiscono proprio come ti aspetti che parlino e agiscano, ai margini del mondo o che si ritrovano in situazioni estreme, ai margini del mondo – dove tutto si ribalta, il sopra diventa il sotto e il sotto diventa il sopra e le situazioni diventano surreali, grottesche, fuori dagli schemi dell’ordinaria vita, dove il sotto sta sotto e il sopra sta sopra, per poi richiudersi. È questa vena “spietata”, quasi crudele, che graffia l’anima mentre ti strappa le risate fino alle lacrime, che ha fatto di Lina Wertmuller una grande autrice “morale”. Che ha sferzato tutto l’immaginario di questo paese degli anni Settanta, dal Nord al Sud, dalla borghesia al proletariato – quando pure lo scontro, fuori, nelle piazze, nei luoghi di lavoro era duro, reale, tragico – passando per quella figura sociale che era cara alle chiacchiere politiche di quegli anni, a volte con disprezzo, a volte con compassione: il lumpenproletariat. Quasi una chiave di lettura per arrivare all’anima di questo paese – non un’anima borghese piccola piccola, ma un’anima sottoproletaria.
Personaggio inquieto per una vita inquieta. Di corsa dentro la seconda metà del Novecento. Arriva al mondo artistico attraverso l’amicizia adolescenziale con Flora Carabella, che poi sarà la moglie di Marcello Matroianni (si conobbero sul palcoscenico di Un tram che si chiama Desiderio al Teatro Eliseo di Roma) – l’Italia esce dalla guerra e c’è una gran voglia di lasciarsi tutto alle spalle. Sta arrivando il miracolo economico, il boom. Flora si iscrive all’Accademia Silvio D’Amico, lei fa un’altra strada, ma è lì che scopre l’amore per il teatro, il cinema, la regia, la scrittura. Lavora per registi teatrali importanti, poi per Garinei e Giovannini, la mitica coppia di tutti i successi del teatro leggero di quegli anni: d’inverno il teatro serio, d’estate il teatro leggero. Forse solo Lina Wertmuller poteva saltare da qui a lì e viceversa: d’altronde, la prima edizione di Canzonissima porta la sua firma per regia e testi.
Poi incontra Fellini – «lui era un grande uomo, prima di tutto; poi, un grande uomo di cinema e un grandissimo amico; e poi ancora, un grandissimo talento» – e va a fare l’aiuto regista per La dolce vita e 8 e 1/2. Quando arrivò sul set la prima volta, la troupe commentò:«È arrivata la regista cor visone». Ma era un visone piccolo – ricorderà poi lei che, pur se decaduta e finita a Palazzo San Gervaso, Basilicata, era sempre Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, origini nobili svizzere. Eppure, sarà dalla frequentazione con quella troupe, che ne verrà un bel pezzo della “sua” troupe quando deciderà di girare il suo primo film: I basilischi. Ci sono: Gianni di Venanzo alla fotografia, Ruggero Mastroianni al montaggio, Ennio Morricone alle musiche – un tris stellare, che finisce in Basilicata per amicizia, i soldi sono pochi (nel cast c’è Stefano Satta Flores, alle prime armi). Il film è quasi una riproposizione de I Vitelloni di Fellini al Sud, ma vuoi l’ambiente, vuoi la “questione meridionale” – si avverte una malinconia forte. Il film vince a Locarno e poi uno dopo l’altro una serie di premi. Però, lei ricordava sempre, la critica la colloca tra le regie “impegnate”. È per questo che va alla Rai e propone di fare Il giornalino di Giamburrasca. Il colpo di genio è mettere Rita Pavone nella parte di Giamburrasca – un successo che rimane ancora nella memoria di molti: Viva la pappa col pomodoro è sua. Ma un po’ giamburrasca la Wertmuller era sul serio – era stata cacciata da undici scuole da ragazzina.
Trova il tempo per terminare un western con Elsa Martinelli, firmato con lo pseudonimo Nathan Witch, e un musicarello con lo pseudonimo G. Brown. Poi, arrivano gli anni Settanta. Che sono una sequenza incredibile di successi: Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972), Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” (1973), Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), Pasqualino Settebellezze (1975), La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1978), Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici (1978) – con quel tratto tipico dei suoi titoli di lunghezza assurda; per la verità Fatto di sangue si titolava Un fatto di sangue nel comune di Siculiana fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici. Amore-Morte-Shimmy. Lugano belle. Tarantelle. Tarallucci e vino, che è il titolo più lungo della storia del cinema. Gli americani, che sono maledettamente pragmatici, lo chiamarono: Revenge. Un decennio con un attore-feticcio di straordinaria bravura, Giancarlo Giannini, e dirigendo mostri sacri come Mastroianni e la Loren.
L’hanno amata gli americani – non tanto il business del cinema, a cui lei rispose di no, a parte La fine del mondo nel nostro solito letto, ma la “comunità del cinema”, che dopo Pasqualino l’aveva candidata agli Oscar (e il film a ben quattro), prima donna. Una volta, quando le diedero un Golden Globe, Robert Altman, che era tra il pubblico, si alzò, zittì tutti, salì sul palco e le baciò i piedi. E quando le diedero l’Oscar alla carriera nel 2020 – i più grandi di Hollywood, da Scorsese a Di Caprio – le resero omaggio.
Ha scritto sceneggiature importanti, come Fratello sole, sorella luna per Zeffirelli, ha fatto regie liriche, ha scritto canzoni (Mi sei scoppiato dentro il cuore, 1966, cantata da Mina, è sua; Questo nostro amore, 1967, cantata da Rita Pavone, è sua) – davvero una produzione culturale notevole e forse unica per la sua vastità.
Eppure, in un’intervista di qualche anno fa, ricordava con piacere e malizia di essere stata campionessa di boogie-woogie. «Ballavo molto bene, mi divertivo».
Forse è questa un po’ la traccia della sua vita, del suo lavoro: fare bene le cose, divertirsi.
Nicotera, 9 dicembre 2021.
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 10 dicembre 2021.