L’alto e il basso dentro la pandemia.

È paradossale che dentro la più grave crisi sanitaria globale che l’umanità stia affrontando a cento anni da quell’altra crisi sanitaria tremenda che fu la “Spagnola” dopo la Prima guerra mondiale (evento “culturalmente”, scientificamente e politicamente sottaciuto e non “elaborato”, e sopravvissuto solo nella memoria orale come una disgrazia cumulatasi a disgrazia) – tutto stia accadendo, meno che l’organizzarsi di movimenti sociali nel nord e nel sud del mondo che si battano per accrescere i livelli di sicurezza sanitaria e difendere le aspettative di vita.
Proprio mentre la pandemia – al di là della sua origine sistemica o casuale – mette a nudo la sostanziale ingiustizia dello smantellamento dei servizi sanitari pubblici nazionali, perseguito ovunque nel mondo in dieci-vent’anni di sfrenato liberismo e privatizzazioni, e mostra incontrovertibilmente il nesso strettissimo tra “difesa umana” e “eventi catastrofici”, tutto accade meno che l’organizzazione delle lotte planetarie per invertire e porre fine a quella sciagurata politica economica e ricostruire – qui, ora – le condizioni della “salute pubblica”.
È sconcertante, a esempio, che la definizione di “debito buono” non significhi anzitutto che si possa fare anche tanto debito, a carico di queste e delle generazioni future, provvedendo a programmare investimenti in strutture, formazione, assunzioni, materiali, ricerca, monitoraggio, tecnologia, decentramento che abbiano al centro e “a cuore” la medicina, la salute, la cura – le malattie, gli ambienti, il lavoro, le degenze, l’assistenza, la natalità. I farmaci. Al primo posto. Debito giusto e buono. Duraturo nei risultati, per noi e le generazioni future. Debito di civiltà. Senza se e senza ma. Invece.
D’altra parte, la crisi globale che ha preceduto questa, quella di origine finanziaria del 2007-2008, e che mostrava incontrovertibilmente l’incontrollato “dinamismo” della globalizzazione finanziaria, senza più alcuna relazione con l’economia reale – e che è stata sostanzialmente “pagata” dai cittadini del mondo, con la perdita di risparmi, la compressione di pensioni, il taglio di servizi – è stata una crisi tutta risolta “dall’alto”, dalla tecnicalità dei governi e delle istituzioni monetarie mondiali, con il bazooka, il quantitative easing, il crollo dei tassi di interesse, il whatsever it takes, l’austerità e il pareggio di bilancio. Il “basso” era solo impaurito.
Ecco, questa della pandemia è una crisi in cui sta agendo “l’alto”. Con tutta la sua “potenza di fuoco”: mediatica, normativa, economica, logistica. Ghe pensi mi. E è “naturale” che nella paura generalizzata nella maggioranza sociale scatti un meccanismo di “affidamento”: il patto profondo, fondativo della sovranità e dell’autorità tra cittadini e Stato è sempre uno e uno solo – garantire la sicurezza della vita.
Questo Stato, questo governo si sta prodigando per “mettere in sicurezza” la mia vita? Sì – sarei disonesto dicessi il contrario. Questo stato, questo governo si sta prodigando per la mia “salute”? No – e sarei disonesto dicessi il contrario. A me mette vergogna pensare che ci sono persone a cui è procrastinata o negata la chemioterapia perché si cono “altre priorità”. Questo Stato, questo governo sta mettendo a terra tutta la sua tecnicalità, ma dentro la politica (e la politica economica) che l’ha caratterizzato in quest’ultimo decennio-ventennio. È dentro la contraddizione – solo apparente, tra “vita” e “salute”, perché il primo senza il secondo diventa solo un dato “biologico” e non politico, non sociale, non culturale, non civile – che si sarebbe dovuto agire. Invece.
Invece, siamo rimasti intrappolati nella “tecnicalità” – se questo è un vaccino o una terapia genica, se è meglio la cura del cortisone o l’idrossiclorochina e la tisana di mirtilli, se la zona bianca deve diventare gialla secondo i numeri del contagio o quelli dei posti in terapia intensiva, se i nostri diritti dell’uomo sono conculcati visto che non possiamo andare all’apericena e in palestra senza il green pass rinforzato.
Una sorta di obnubilamento di massa – io, il più obnubilato di tutti, e sono qui per chiedere aiuto – esemplarmente caratterizzato da chi si opponeva al tampone per lavorare, “in basso”, e chi riduceva progressivamente la validità certificatoria, da 72 a 48 ore, da 48 a 24, “in alto”. La guerra dei tamponi, né più né meno dalla “forza storica” di una guerra dei bottoni.
Possiamo ancora fare? Possiamo ancora costituire autorità e sovranità popolare, sociali che abbiano a cura la salute pubblica, nostra e delle future generazioni, che “producano” investimenti, norme, cose, mentre ci salviamo la vita?
Possiamo ancora fare. Forse.
Nicotera, 4 dicembre 2021.

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