Biden, Putin, un’intervista e la guerra fredda 2.0

Di un’intervista a George Stephanopoulos, di «ABC News», in cui Biden parla di tantissime cose – dei risultati del piano di vaccinazione, della pressione migratoria ai confini, dell’aumento delle tasse, di Cuomo e persino del suo cane, Major – l’attenzione mondiale dei media si è concentrata su un passaggio.
Chiede Stephanopoulos: «So you know Vladimir Putin. You think he’s a killer?»
E Biden: «Mm mm, I do».
Il giornalista di «ABC» commentava la notizia del report dell’intelligence in cui si dice che Putin ha autorizzato operazioni durante le ultime elezioni per denigrare Biden, supportare Trump, dividere la società americana – e chiede a Biden se pagherà un prezzo per questo. E Biden dice che ha avuto una lunga conversazione con Putin e che lo conosce relativamente bene. E che gli avrebbe anche detto che se si fosse convinto che certe cose erano accadute, di aspettarsi una reazione. Biden fa poi riferimento a un precedente incontro con Putin, quando George W. Bush nel 2010 aveva detto di «avere guardato nei suoi occhi e visto la sua anima». Biden invece non crede che quello abbia un’anima, e glielo ha anche detto. E Putin, di rimando – «Noi ci capiamo». È a questo punto che arriva la domanda sul “Putin killer”.
Comunque la si metta – qualcuno parla di un’espressione dal sen fuggita, incastonata in una attitudine da gaffeur di Biden, oppure del fatto che Biden non sta dicendo che Putin abbia effettivamente ordinato di ammazzare qualcuno ma è un uomo senz’anima – è una dichiarazione forte, fortissima.
Non è la prima volta che l’espressione “killer” viene accostata a Putin parlando con un presidente degli Stati uniti. Nel 2017 Bill O’Reilly di «Fox News» intervistò Trump che a un certo punto disse di rispettare Putin. E O’Reilly: «But, he’s a killer». E Trump: «There are a lot of killers. You think our country’s so innocent? – Ci sono un sacco di assassini, pensa che il nostro Paese sia così innocente?»
Come si vede, proprio due registri, tra Trump e Biden rispetto a Putin. Ma è proprio questo il punto – Biden vuole segnare una discontinuità nei rapporti tra Usa e Russia. Forse c’è pure del “personale” in tutta questa vicenda: se sono puntuali le informazioni dell’intelligence sui tentativi di manipolazione dei trolls russi ai danni di Biden – beh, voi come la mettereste se scopriste un giorno che mentre cercavate di sposare la ragazza dei vostri sogni c’era qualcuno che subdolamente le sussurrava che voi non eravate un granché e era meglio quell’altro ragazzo, dal ciuffo arancione?
Ma dall’insediamento Biden si è dato subito da fare per dire che c’era un nuovo sceriffo in città. Ha ripreso le conversazioni con i paesi più vicini, Canada e Messico, e con lo “storico alleato”, la Gran Bretagna. Poi ha parlato con Macron. E poi ha mandato due segnali “forti” a Russia e Cina. Alla prima, ha detto che era contro la repressione di Mosca delle manifestazioni a favore dell’oppositore Alexiei Navalny. Alla seconda, che era contro le “intimidazioni” cinesi a Taiwan, nel giorno in cui i bombardieri di Pechino avevano sorvolato lo spazio aereo dell’isola cui i cinesi non hanno smesso mai di puntare. In un certo senso, è da un po’ che Biden pensa al “prezzo da far pagare” ai russi, per i cyber attacchi come per la violazione dei diritti civili («il Dipartimento di Stato americano ha condannato con forza l’uso di metodi brutali contro manifestanti e giornalisti in questo weekend in diverse città della Russia»). Nello stesso tempo si dice disposto – anche nell’intervista a Stephanopoulos – a «walk and chew gum», insomma a trovare accordi dove c’è un comune interesse, a esempio la proroga dei trattati Start per il controllo degli arsenali nucleari. Domani non scoppia la quarta o la quinta guerra mondiale.
Un tempo c’era la guerra fredda. Ma, come dire, la battaglia era politica. E si era scatenata fin dall’inizio, fin da dove tutte le cose erano cominciate, il progetto segretissimo di Los Alamos sulla bomba atomica. Per dire, Bruno Pontecorvo, fratello del noto regista, che era stato allievo di Fermi, e era un genio delle ricerche sui neutrini e le particelle elementari, nel 1950 aveva mollato tutto e aveva saltato la cortina di ferro per andarsene a vivere in Unione sovietica, una scelta che, la prima volta che riapparse in pubblico, nel 1955, spiegò con «il suo abbandono della società occidentale e la sua adesione al comunismo reale». Queste erano le spie, e i traditori della patria: persone come te ma che odiavano il loro stesso paese in nome di una ragione politica. Sempre per dire, la genia intellettuale che veniva fuori dalle università inglesi negli anni Trenta, quella che aveva combattuto in Spagna e lottato contro il nazismo, quella, fu da supporto per tante operazioni di intelligence dei russi – l’Unione sovietica per tutti loro era semplicemente “Stalingrado”. E loro odiavano soprattutto una cosa: il capitalismo.
Tutto questo oggi non c’è più, tutto questo, oggi, è romanticheria, e forse per quello affascina e appassiona e ci fanno le fiction e i film. C’erano i buoni e c’erano i cattivi, che poi sarebbero i nostri e i loro. O viceversa. E tutto – benché con cinquanta sfumature di grigio – tornava al posto suo. Oggi non hai bisogno di anni di addestramento “per sembrare” un altro, non hai bisogno di pedinare, avvicinare, raggirare, ingannare, minacciare, eseguire, non hai bisogno di una “fede politica” che ti sostenga per dieci, venti, trent’anni di oscura immedesimazione in un altro mondo che detesti, ripetendoti continuamente che stai lottando per una ragione. Oggi, puoi stare in una dacia sul Mar Nero o in qualche casermone di Mosca, o in un supersegreto compound militare negli Urali, e smanettare col tuo computer – legato a centinaia di computer – per entrare nel portatile del responsabile della campagna elettorale di Hillary Clinton e rubare le sue mail e farle vedere al mondo. Oppure, provare a influenzare la campagna elettorale americana a favore di Trump e contro Biden. Forse non ci sono più fedi politiche così totalizzanti e convincenti. Come per la chiesa – sono le “vocazioni” che vanno scemando per via della secolarizzazione.
È la guerra fredda 4.0. E tutto è un po’ confuso. Edward Snowden che dopo aver rivelato migliaia di documenti segretati della NSA ai giornalisti Glenn Greewald e Laura Poitras se ne volò a Mosca ha commentato così la sentenza della corte d’appello Usa che l’anno scorso ha stabilito che il programma di sorveglianza di massa della National Security Agency sulle telefonate degli americani era illegale e forse anche incostituzionale: «Non avrei mai immaginato che sarei vissuto per vedere i nostri tribunali condannare le attività della Nsa come illegali e nella stessa sentenza vedermi attribuito il merito per averle rivelate». Già, è tutto molto confuso.

Nicotera, 18 marzo 2021.
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 19 marzo 2021.

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