Più Stato o più Regione? Proviamo un’altra strada?

A fine febbraio, il governo impugnò davanti al Tar delle marche l’ordinanza del governatore Ceriscioli che chiudeva le scuole, mentre il decreto presidenziale le lasciava ancora aperte. La ebbe vinta. poi, le scuole si chiusero tutte. A inizio maggio, il governo impugnò davanti al Tar della Calabria l’ordinanza del governatore Santelli che apriva bar e ristoranti mentre il decreto presidenziale li lasciava ancora chiusi. La ebbe vinta. Poi bar e ristoranti si aprirono tutti.
Ora, qui non si vuole discutere di torti e ragioni nella gestione dell’epidemia – figurarsi, non ci capiscono un czzo all’Oms, pensate noi. Si vuole discutere del rapporto fra governo e regioni nella gestione dell’epidemia. Questo, in parte per capire di chi siano le responsabilità (potremmo cavarcela con le concorrenze di competenza) di quello che è accaduto, ma soprattutto di come possiamo guardare al futuro.
A destra come a sinistra – e in occasione in particolare il 16 maggio: la legge 16 maggio 1970, n. 281, or sono 50 anni, è quella con cui si è dato avvio al processo di decentramento amministrativo – si dice ora che nella gestione dell’epidemia il rapporto stato-regioni ha mostrato enormi criticità. In sintesi, che si è persa “la primazia dell’interesse nazionale”, nell’eccessivo decentramento di competenze, a scapito dell’efficienza e del coordinamento, non solo – ma soprattutto – in momenti emergenziali, diremmo eccezionali.
Quello che è più singolare, è che i soggetti oggi “portatori di critica” al decentramento regionale (che per comodità, d’ora in poi chiameremo i neo-statalisti, senza caricare di significato la definizione) siano stati, a destra come a sinistra, tra i più accaniti nemici del progetto di riforma costituzionale portato avanti da Renzi, che vide poi prevalere il NO in un singolare afflato di forze le più eterogenee e disparate, che della ri-centralizzazione dello stato si faceva promotore. Ma questa è una notazione di “colore”, come a onor delle cronache va detto che io invece, pur se per motivi del tutto opposti ero per il SI, ma io sono un indipendentista, non un autonomista.
Il governo perciò decise di praticare la giustizia “amministrativa” (il Tar) contro governatori che facevano di “testa propria”, ma non ha usato mai l’articolo 120 della Costituzione, che pur recita così: «Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali». Sarebbe bastato perciò, al governo, in forza dell’emergenza “sostituirsi” ai governi regionali – e l’epidemia («pericolo grave per l’incolumità pubblica») avrebbe tacitato tutti.
Perché il governo non ha usato (spiace per Agamben) lo “stato d’eccezione” pur configurato nell’articolo 120 – e quindi senza nessuna violazione del democratico dettato costituzionale? Questa è una bella domanda. Ma è una domanda che pertiene alla politica, alla “forza” del governo, del suo premier e della sua maggioranza. Una domanda che ha a che fare anche con l’opposizione e con gli schieramenti di appartenenza dei governatori. Una domanda cioè che non ha alcuna attinenza con il contagio, con gli algoritmi della sua diffusione, con gli esperti epidemiologi di chiara fama miei colleghi (scherzo, eh), con i tecnici di varia natura. Vale nel rapporto tra centro e governatori nelle regioni dove il virus colpiva duramente (come in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia), ma vale anche nel rapporto con le regioni dove il virus era meno devastante: a esempio, e nei confronti del governatore campano De Luca e nei confronti del governatore siciliano Musumeci – che “chiusero” i confini delle proprie regioni quando il governo decretava di aprirli – sarebbe bastato ricordare (sempre l’articolo 120): «La Regione non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni». Questo era un vero lanciafiamme!
Mai acceso, ovviamente. Ai neo-statalisti d’una sponda e dell’altra che immaginano e prospettano e si augurano adesso un “ritorno allo stato” – peraltro con “l’accumulazione originaria” dei fondi europei – almeno per quello che riguarderebbe i servizi essenziali (scuola, università e ricerca, sanità, produzioni essenziali – definizione “europea” moooolto vaga), suggerirei al momento una maggiore cautela “teorica”, diciamo così.
Questo governo è stato – a mio parere – negligente e zelante, ritardatario e frenetico, omissivo e “alla lettera”, insomma tutto e il contrario di tutto, nel momento giusto e in quello sbagliato, per cui ci sarà sempre qualcuno che dirà, che ha pure fatto cose buone. E sarà anche vero.
Ma dedurne – come peraltro lo stesso premier Conte sembra fare (ha detto, per la ricorrenza del 16 maggio: «È un assetto che deve registrare qualche manutenzione: non mi concentro sulle proposte, ma credo sarà giusto fermarsi a riflettere e valutare se si può migliorare qualcosa in questa divisione di competenze», con una minimizzazione che prelude a un’auto-assoluzione) – linee teoriche per il futuro, ecco farei un bel respiro, conterei fino a dieci, prima.
Magari possiamo immaginare nuove strade.

Nicotera, 19 maggio 2020.

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