Com’è potuto accadere che una delle cose più boring, noiose al mondo, le elezioni di metà-mandato americane, sia diventato l’argomento più scottante del giorno, the hottest thing? Chi mai aveva sentito parlare delle mid-term americane? – lo stesso Trump se l’è chiesto in un rally in Indiana.
C’è da presumere che Trump ne abbia addebitata la colpa ai media – il nemico pubblico n. 1 del popolo, come amabilmente li definisce. E a un loro complotto, per dargli fastidio. Beh, una parte di verità sta anche qui: dopo due anni di una delle presidenze più controverse, diciamo così, della storia americana, che ha letteralmente spaccato il paese a metà, costellando questa prima parte del suo mandato di gesti e dichiarazioni fortemente divisivi – era un’attesa più che lecita vedere se le condizioni che avevano contribuito al suo successo nel 2016 erano ancora capaci di sostenerlo, o meno. A partire dal fatto che tutti i commentatori non potevano che prendere atto del buon momento della situazione economica – riduzione della disoccupazione, aumento degli occupati, il mercato azionario in grande spolvero, il fatturato in crescita, un leggero aumento dei salari. Avrebbe fatto aggio su tutto, the economy? Sulla durissima battaglia per l’elezione di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema? Sulla descrizione dei migranti come stupratori e criminali, una “national security” contro i quali schierare l’esercito? Ma l’attenzione dei media non spiega tutto. La verità è che i Democratici ci hanno messo un po’ a svegliarsi dalla batosta, da quella notte delle lacrime di Hillary, ma da un anno almeno sono ventre a terra per risalire. E questa, proprio questa era the hottest thing, verificare se fosse possibile battere Trump.
Trump twitta di un “tremendous success”. Ma le cose non sono esattamente così. Intanto, va detto, stavolta i sondaggi ci hanno azzeccato – dopo l’inaspettata e sorprendente vittoria di Trump. Sarà che sono diventati più bravi, sarà che lo spostamento elettorale del 2016 si è stabilizzato e quindi era più prevedibile, però ci hanno preso proprio giusto: l’80 percento di possibilità che i Democratici si prendessero la Camera, e l’80 percento di possibilità che i Repubblicani si tenessero il Senato – è andata esattamente così. Non nelle proporzioni immaginate – il divario è più ampio. Ma era da otto anni (anche sotto Obama) che i Democratici non avevano la maggioranza alla Camera. Che la durezza di Trump fosse servita a galvanizzare i suoi, e che la rinnovata mobilitazione e passione dei candidati democratici abbia costruito una forte affluenza di elettori e propri sostenitori, sono state vere entrambe le cose. Le donne hanno votato e in buona parte hanno votato democratico; anche i giovani si sono mobilitati e in buona parte verso candidati democratici: il risultato è un’onda di giovani candidate che entrano alla Camera e al Senato (la più giovane di sempre, la prima palestinese-americana, la prima somalo-americana, la prima nativa americana). Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti la maggior parte dei candidati di un grande partito non erano uomini bianchi. I Democratici hanno avuto un vantaggio di 21 punti tra le donne, mentre i Repubblicani hanno segnato solo due punti di vantaggio tra gli uomini; le donne bianche si sono divise 50 a 48 contro Trump, e due anni fa avevano dato a Trump nove punti di vantaggio contro la Clinton, e le donne sposate si erano divise a metà, ma ora vanno verso i Democratici; l’unica fascia d’età in cui i Repubblicani vincono sono i maschi sopra i 65, e anche qui solo di un punto. Quali sono stati i cavalli di battaglia, gli argomenti vincenti di questa ondata di candidate? L’assistenza sanitaria per tutti (la difesa dell’Obamacare), la legge sulle armi (il movimento di giovani nato dopo le continue stragi nei college), l’aumento dei salari minimi (a cominciare dallo sciopero delle lavoratrici McDonald’s contro gli abusi sessuali e per l’aumento della paghe a 15 dollari l’ora), questioni a cui si sono intrecciati i movimenti del #metoo e BlackLivesMatters.
Forse, la sintesi migliore l’ha trovata Jim Dean, presidente del comitato di azione politica progressista Democracy for America, che ha dichiarato: «Il cambiamento alla Camera degli Stati Uniti verso il controllo democratico è un ripudio diretto del programma nazionalista bianco di Donald Trump, e un chiaro mandato per un populismo multirazziale inclusivo e un lascito alla leadership di una Nuova Maggioranza Americana di elettori neri, latini e bianchi progressisti che l’hanno resa possibile».
La realtà è che ora la Camera sarà un tormento per Trump. Può rallentare e bloccare la sua agenda legislativa, non ci saranno più tagli alle imposte per le grandi imprese e nessun taglio alla sicurezza sociale o all’assistenza sanitaria. Ci saranno indagini sulla scandalosa perdita di migliaia di vite americane a Puerto Rico dopo l’uragano Maria: i Repubblicani hanno bloccato qualsiasi seria inchiesta sulle centinaia di milioni di dollari in contratti per soccorsi in caso di calamità che avrebbero potuto salvare così tante vite. E può sfiancare la Casa Bianca con indagini, citazioni e richieste su quelle dichiarazioni delle tasse che il presidente non ha mai presentato; e può anche affondare ancora di più il coltello – oltre le indagini del giudice Mueller – sulle presunte collusioni con la Russia nelle elezioni del 2016. Può anche immaginare, se la “corrente” rappresentata da Elizabeth Warren, di nuovo eletta in Massachusetts, avrà spazio, di puntare all’impeachment, per il Russiagate. Con nessuna speranza di portarlo a termine, ma certamente azzoppando l’anatra per le elezioni del 2020. Come ha scritto il sito Politico.com: «Tutto questo potrebbe anche dare slancio a Trump, fornirgli – con Nancy Pelosi, di nuovo speaker della Camera – un nuovo capro espiatorio per dire che non gli consentono di costruire il muro sui confini. Però, la cosa importante è che il 2016 per i Democratici è finito e che sono di nuovo in pista».
Trump sarà meno trumpy? No, non è possibile – l’uomo è quella pasta là. I Democratici hanno vinto, ma Trump non ha ancora perso. e il paese è sempre più spaccato a metà, tra grandi agglomerati urbani e piccoli sobborghi, tra il Nord e l’Ovest da una parte e il Sud e il centro dall’altra. La nuova guerra civile americana, una guerra tutta politica, è appena cominciata.
Nicotera, 7 novembre 2018.
Pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 8 novembre 2018.