Ieri, a Cagliari, Matteo Salvini ha presentato ufficialmente l’accordo elettorale con il Partito sardo d’Azione: alle politiche del 4 marzo i Quattro Mori correranno sotto il simbolo del Carroccio. Per Salvini prosegue la “campagna acquisti” nel Sud, per dare alla Lega la dimensione di partito nazionale – è questa la frattura con la Lega di Bossi e, ultimamente, anche con Maroni. D’altronde alle regionali siciliane di novembre scorso il simbolo “Noi con Salvini” c’era – anzi il suo “segretario nazionale” è proprio un siciliano, Angelo Attaguile, notabile democristiano di lungo corso – insieme a quello di Fratelli d’Italia, in una racimolata Alleanza per la Sicilia. Ci avevano provato anche a Palermo, alle comunali di giugno, presentando una ex Iena, Ismaele La Vardera, ma era stato un flop e anche una coda di imbarazzi. Alle regionali, non è andata granché meglio – superata d’un soffio la soglia del 5 percento. Racimolando tre deputati, che però erano due di Fratelli d’Italia e il terzo un altro transfuga da mille raggruppamenti, tal Rizzotto Antonio detto Tony (per via, probabilmente, di un ciuffo vaporoso e ribelle tra Tony Dallara e Tony Montana) che, appena eletto, ha formato il Gruppo Misto con Claudio Fava, eletto dalla lista “Cento passi”, e Cateno De Luca, salito di recente alle cronache per una serie di processi da cui è uscito sempre indenne e nel più vicino passato per essersi fatto immortalare ignudo e avvolto dalla bandiera siciliana in una saletta dell’Assemblea regionale siciliana: una cosa, insomma, che, benché possa dare dei vantaggi ai singoli deputati nella formazione del “gruppo”, più misto proprio non si poteva pensare.
Andrà meglio in Sardegna? Andrà meglio per Christian Solinas, segretario del Partito Sardo d’Azione, che riporterebbe i sardisti in parlamento dopo ventidue anni, anche perché si parla di una sua possibile candidatura “blindata” in un collegio per il Senato in Lombardia? Nessuno scandalo perciò – ma certo corre un brivido lungo la schiena a pensare a questa alleanza tra un partito storico del sardismo e al partito storico dell’orgoglio padano contro gli atavici mali del meridionalismo.
«Nella storia si hanno casi di Stati federali che diventano Stati unitari; non si ha invece un solo caso di Stato unitario che si sia trasformato in Stato federale. È per questo motivo che personalmente ritengo non praticabile la via della riforma in senso federalista dello Stato italiano. Però, l’Italia è composta di Regioni, comunità e nazioni senza Stato. Per cui ciò che in Italia è realizzabile, ed in parte i padri costituenti lo avevano inteso con l’adottare per alcune regioni forme di “autonomia speciale”, è il cosiddetto federalismo asimmetrico. Come contributo, esempio e “provocazione” di una riforma in senso federalista e asimmetrico dello Stato si presenta questo disegno di legge costituzionale per la riforma dell’autonomia speciale della Sardegna con una Nuova Carta, Statuto o Costituzione che è il puro e semplice adattamento dello Statuto della Catalogna alla Sardegna stessa». È un brano tratto dal Disegno di Legge costituzionale d’iniziativa del senatore Cossiga, comunicato alla presidenza il 15 maggio 2006, dal titolo: Nuovo statuto della regione autonoma della Sardegna e cambiamento di denominazione della stessa in «Comunità Autonoma di Sardegna». Una vera “provocazione” del vecchio democristiano che aveva ricoperto per tutta la vita incarichi di grande prestigio e importanza nello Stato italiano, fino a diventare presidente della Repubblica. Ora era il tempo del “picconatore” – e delle sue estreme attenzioni e esternazioni a quello che avveniva nei Paesi Baschi. Un capovolgimento incredibile forse frutto di una resipiscenza tardiva? Chissà cosa direbbe oggi Cossiga dell’operazione di Salvini. E cosa direbbe dei sardi del Psd’Az.
Ci aiutano a capire qualcosa alcune considerazioni tratte dal libro del politologo Carlo Pala, Idee di Sardegna: «i partiti italiani in Sardegna hanno preso spunto da quelli etnoregionalisti; a differenza di quanto accaduto in passato, i partiti di ispirazione centrale hanno sposato battaglie nate in un alveo indipendentista o autonomista; l’aspetto più importante e non abbastanza evidenziato è l’impossessamento da parte di questi partiti di tematiche sarde ritenute nuovamente in grado di influenzare i cittadini e quindi i possibili elettori. Questo rende più credibile e più probabile il dialogo tra alcune forze indipendentiste e i partiti nazionali italiani; i partiti hanno dunque immesso nei propri circuiti rappresentativi a tutti i livelli di governo temi e modalità di azione propri di forze ritenute sino a qualche tempo prima antisistema: si è assistito a un processo inverso in cui le tematiche proprie di questi partiti, riaggiornate nel loro bagaglio ideologico specifico, sono state assunte anche dai partiti di ispirazione centrale. Il fenomeno si può definire la sardizzazione della politica isolana con continui interscambi tra la sfera della società sarda interessata alle diverse tematiche e la sfera pubblica istituzionale».
Insomma, la politica italiana in Sardegna già dai primi anni duemila ha saputo ridefinire il proprio discorso: a partire almeno da Soru in avanti, i partiti “unionisti” ormai usano e abusano di identitarismi, di tematiche sardiste e rivendicazioni autonomistiche. Si può per tutto citare la mozione in favore di un referendum per l’indipendenza che il consiglio regionale – a maggioranza “unionista”– non approvò per un solo voto.
C’è, di converso, una crisi del “sardismo”, e la parabola del PSd’Az è esemplare. Anche solo per quel che ha significato simbolicamente. Seguiamo ancora Pala: «Il PSdAz nel primo dopoguerra fu capace di realizzare una socializzazione politico-elettorale del popolo sardo realizzando una connessione organica tra i movimenti popolari – reattivi in determinate contingenze socioeconomiche, in periodi di crisi – e i fautori di una rivendicazione politica sardista. Il PSd’Az del secondo dopoguerra è ormai privo della dimensione di massa e spostato a destra, in una fase “ancillare alla DC”, tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta. Dalle elezioni regionali del 1953 a quelle del 1979, il PSd’Az crollò dal 7 al 3.3 percento; dopo la crisi petrolifera e la conseguente crisi dell’industrialismo petrolchimico su cui si basava la Rinascita, il PSd’Az – nel quale confluirono anche esponenti del neosardismo indipendentista dichiarato, fino a dichiararsi formalmente indipendentista a seguito del XX congresso del 1981 – nel 1984 raccolse il 13.7 percento dei suffragi, ridotti al 12.g cinque anni dopo per poi declinare a seguito della fallimentare giunta Melis. Il Partito non riuscì più a realizzare quella necessaria connessione organica e a riformare la propria organizzazione e le proprie politiche simili a quelle dei partiti italiani».
Il Partito Sardo d’Azione (PSd’Az) fu fondato nel 1921 da Davide Cova, Camillo Bellieni, Emilio Lussu e altri ex-combattenti della Prima guerra mondiale, provenienti principalmente dalla Brigata Sassari, su un programma autonomista. Ma prima Bellieni, mutilato di guerra, aveva fondato a Sassari il settimanale «La Voce dei Combattenti», mentre in agosto era nato, sotto la direzione di Vitale Cao, «Il Solco» al quale collaborava.
Il 16 novembre 1919, l’Associazione Nazionale Combattenti si presenta alle elezioni politiche nazionali come lista del Partito dei combattenti e ottiene il 4,1 percento e 20 seggi. In Sardegna, sono eletti tre deputati. Il 16 aprile 1921, al IV Congresso dei combattenti sardi, Bellieni preme per il superamento della struttura associativa e la trasformazione del movimento combattentistico regionale in partito politico, proponendo quattro punti programmatici: sovranità popolare, autonomia amministrativa, autonomia doganale, questione sociale, e il 17 aprile 1921, con l’approvazione dei quattro punti citati, nasce ufficialmente il Partito Sardo d’Azione, di cui Bellieni è eletto segretario.
Alle elezioni politiche del maggio 1921, il Partito Sardo d’Azione raccoglie circa 1/3 dei consensi elettorali dell’isola, cioè più del doppio dei voti socialisti e quasi tre volte quelli del PPI, il Partito popolare di Sturzo. Stavolta, tra gli eletti c’è anche Emilio Lussu. Lussu interviene per la prima volta nell’aula di Montecitorio l’8 dicembre 1921, in occasione del dibattito per la raggiunta indipendenza irlandese, precisando che il Partito Sardo d’Azione è autonomista e non separatista. La tesi è ribadita da Bellieni, al II Congresso del partito, nel gennaio 1922, esponendo l’ipotesi di un’Italia «riordinata su basi federali con la conquista delle autonomie regionali».
Si erano intanto formati, anche in Sardegna, i primi fasci italiani di combattimento. Il 4 novembre 1922, a Cagliari, i fascisti sono espulsi dal corteo e costretti a riparare sotto la protezione della polizia. Lussu subisce un’aggressione ed è ferito durante un comizio. Per tale motivo non può presenziare al voto di fiducia al governo Mussolini ma la contrarietà del Partito Sardo d’Azione al nuovo governo è espressa per bocca di Umberto Cao. Nel frattempo, la redazione del quotidiano autonomista «Il Solco» è incendiata e il militante Efisio Melis ucciso. Il 31 ottobre dell’anno seguente Emilio Lussu reagisce al tentativo di aggressione da parte di alcuni fascisti, penetrati nella sua abitazione di Cagliari, con l’uccisione di un giovane squadrista. Il fascismo intanto ha soppresso tutti i partiti di opposizione, compreso il Partito Sardo d’Azione. Lussu è condannato all’esilio nell’isola di Lipari, dalla quale, attraverso un’azione rocambolesca compiuta insieme a Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti, riesce a fuggire il 27 luglio 1929. Giunto a Parigi, nell’agosto del 1929, fonda il movimento antifascista Giustizia e Libertà, insieme a Carlo Rosselli, Gaetano Salvemini, Alberto Tarchiani, Francesco Fausto e Vincenzo Nitti. Poi, Giustizia e Libertà diventerà il Partito d’Azione e il Partito d’Azione si scioglierà nel Partito socialista: Lussu segue questa strada, ma il Psd’Az invece resterà.
Quand’era esule – dopo aver partecipato alla Guerra di Spagna – Lussu tra il 1936 e il 1937 scrisse un libro di memorie sulla Prima guerra mondiale, Un anno sull’Altipiano, ambientato sull’altopiano di Asiago, teatro dei più violenti combattimenti e della terribile guerra di trincea. Lussu, che pure era stato un acceso interventista e si era battuto con grande coraggio durante tutta la guerra, assume un atteggiamento fortemente critico nei confronti dei comandi militari dell’epoca: per la prima volta nella letteratura italiana, viene raccontata l’irrazionalità e insensatezza della guerra, della gerarchia e dell’esasperata disciplina militare al tempo in uso. Una guerra che l’esercito italiano combatté sempre all’offensiva fino al 1917, logorandosi fin quasi all’esaurimento e crollando miseramente al contrattacco degli austro-tedeschi. Il racconto di Lussu si interrompe prima della rotta di Caporetto.
Da quel libro fu liberamente tratto, con la regia di Francesco Rosi e la sceneggiatura dello stesso Rosi, di Tonino Guerra e Raffaele La Capria, un film straordinario, Uomini contro, del 1970, con un’eccezionale interpretazione di Gian Maria Volontè, cui toccò la battuta chiave: «Basta con questa guerra di morti di fame contro morti di fame». Pochi altri film hanno saputo sottolineare la follia di un potere che nel nazionalismo trovava il proprio rafforzamento a discapito delle classi sociali subalterne, mandate al massacro senza alcuna remora.
Forse non fa oggi scandalo il patto elettorale tra il PSd’Az e Salvini. Però, Lussu, e non solo lui, si rivolterà nella tomba.
Nicotera, 23 gennaio 2018.
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 25 gennaio 2018.
Salvini dovrebbe sapere che ai fascisti come lui, Lussu gli avrebbe sparato nei coglioni.
diciamo una considerazione “sopra le righe” – ma mi è obbligo approvarla