L’enigma Julian Assange.

A luglio del 2010 la rivista americana «Time» metteva un’immagine di Assange in copertina titolando: The Robin Hood of Hacking, e chiedendo ai suoi lettori: «Is WikiLeaks good or bad for democracy?». Erano i giorni in cui WikiLeaks era apparsa sulla scena mondiale iniziando a pubblicare i documenti hackerati da Bradley (poi diventata Chelsea, infine graziata da Obama) Manning, il soldato Usa finito in carcere per aver trafugato decine di migliaia di documenti riservati. Tra il luglio 2010 e l’aprile 2011, Assange pubblicava circa 90mila file sulla guerra in Afghanistan, 500mila su quella in Iraq, 250mila cable diplomatici delle ambasciate americane nel mondo – mettendo in imbarazzo soprattutto l’attività del Dipartimento di Stato guidato da Hillary Clinton – e infine i Guantanamo files, quelli sulla prigione dove gli Usa detengono i terroristi arrestati dopo gli attentati delle Torri Gemelle. Il primo file pubblicato era stato il video che mostrava la strage di civili compiuta da un elicottero Usa nel 2007, in cui morirono anche due cronisti della Reuters.
A settembre del 2016, il «New York Times» pubblica un ampio dossier in cui accusa Assange e WikiLeaks di essere la “lavanderia” dei servizi segreti russi. Una requisitoria dettagliata, dove peraltro veniva data voce allo stesso imputato: Assange era rinchiuso nell’ambasciata ecuadoriana a Londra che gli aveva concesso asilo, per evitare l’estradizione, dopo che a novembre 2010 era stato spiccato mandato di arresto nei suoi confronti dalla Svezia, per una denuncia di due donne per violenza sessuale; se Assange fosse estradato in Svezia e poi consegnato alla giustizia americana rischia addirittura la pena di morte: l’accusa di «violazione del divieto penale della pubblicazione di informazioni riservate pregiudizievoli per la difesa nazionale statunitense» comporta la pena capitale. Assange si era lasciato intervistare dai tre reporter del «New York Times» che firmavano l’inchiesta. Dal ritratto del «Nyt», Assange veniva dipinto come una marionetta nelle mani dei russi – WikiLeaks aveva già iniziato la sua “campagna elettorale” contro Hillary Clinton, che poi si intensificherà sempre di più – che gli passavano informazioni che lui pubblicava senza badare alla fonte. La sua ossessione erano gli Stati uniti, era svelare la falsità e l‘ipocrisia della democrazia americana. Assange respingeva l’accusa dicendo che «non esistono prove concrete» che WikiLeaks riceva le informazioni da servizi segreti stranieri. Ma rivendicava che anche se fossero loro la fonte, accetterebbe ben volentieri quel materiale.
Ecco, la verità su Assange sembra oscillare tra questi, opposti e controversi, giudizi delle due testate americane. L’ossessione per la trasparenza, come rivendicazione per un migliore funzionamento della democrazia, sembra trasformarsi nel suo opposto: una confusione creata a arte per minare la democrazia. Assange è un Robin Hood o una marionetta manovrata da potenze oscure?
La verità è che lui stesso si è interrogato e posto sul crinale delle questioni; nel 2012 è uscito il libro Freedom and the Future of the Internet, conversazione con Jacob Appelbaum, Andy Müller-Maguhn e Jérémie Zimmermann, in cui Assange prevede un futuro distopico e dove il web «il più grande strumento della nostra emancipazione, è stato trasformato nel più pericoloso aiutante del totalitarismo». E d’altronde, pochi giorni fa, dopo la pubblicazione di oltre 9mila documenti diffusi da Wikileaks sui dati che la Cia avrebbe raccolto sfruttando webcam private e ogni oggetto – smart tv, smart phone – connesso a internet, intervenendo sul «Corriere della sera» il politologo Ian Bremmer avvertiva di prepararci al peggio. Il peggio per Bremmer non è tanto che la tecnologia e le informazioni più pericolose per la sicurezza di un Paese finiscano nelle mani di una superpotenza avversaria. La vera minaccia sta nell’avanzata tecnologica dei gruppi terroristici. Nessun movimento estremista oggi è ancora in grado di accedere a smart tv e device mobili, ma è solo una questione di tempo. Un incubo.
Figlio di genitori divorziati, un’artista visuale e un attivista pacifista, Assange nasce a Townsville, in Australia, quarantasei anni fa. La madre dirigeva una piccola compagnia teatrale itinerante, e così l’infanzia e l’adolescenza di Assange sono state segnate dal nomadismo al seguito degli attori. Ha cambiato 37 volte città e numerose scuole, prima di fermarsi a Melbourne. Qui ha studiato matematica e informatica all’Università di Melbourne, ma non si è mai laureato. Ha iniziato da giovanissimo l’attività di hacker: a 16 anni si faceva chiamare Mendax e firmava, insieme ad altri, i suoi colpi con la sigla «Sovversivi internazionali». Dopo aver lasciato l’università, Assange è stato consulente della polizia australiana in indagini sulla pedopornografia. A 35 anni, ha fondato il sito WikiLeaks e è diventato un personaggio internazionale. Nel mezzo c’è quasi il nulla. Dove può prendere forma qualsiasi racconto avventuroso.
Secondo una fonte prima legata ai russi, nel KGB ci sono vecchi documenti (anni 1986-88) dove già appare il suo nome. Ma non basta.
Il governo russo avrebbe impiegato più di duemila agenti per scoprire la sua vera storia. E non è l’unico servizio di spionaggio dietro ai suoi passi: anche l’MI6 britannico cercava risposte alle fughe di notizie e fonti di informazione. Le fonti consultate all’interno della CIA sembravano convinte che Assange fosse stato reclutato da varie agenzie di spionaggio e, tra queste, il Mossad israeliano, attraverso uno scienziato ebreo dell’università di Melbourne, coinvolto nella comunità degli hacker.
Quel poco che si sa è che Assange era un giovanissimo e dotatissimo hacker, associato al Chaos Computer club di Amburgo (Germania), lo stesso club che nel 1988 creò un super virus informatico che distrusse una gran parte dei pc militari del governo statunitense. Dopo l’attacco, i responsabili, tra di essi un giovane Assange, all’epoca aveva circa 17 anni, furono arrestati per hackeraggio di computer statunitensi. Il gruppo, all’epoca, era già nel mirino dei servizi dell’intelligence tedesca per la vendita del codice sorgente del sistema operativo del KGB sovietico.

Fonti nella NSA, l’agenzia di spionaggio più grande degli USA, collocano Assange ad Amburgo durante la prima guerra del golfo (1991). Sarebbe arrivato in Germania appena quindicenne, nel 1986, per assistere a una festa dei più tremendi pirati cibernetici a Berlino ovest, dove sarebbe stato messo a punto il piano che dopo sarebbe diventato uno scandalo di spionaggio in Germania e che è passato alla storia: cinque hacker informatici della Germania occidentale vendettero informazioni militari segrete e economiche all’Unione Sovietica dopo essersi infiltrati in reti di dati segreti, come il laboratorio di armi nucleari degli USA a Los Alamos, la sede della NASA, il data base militare degli USA; in Europa, furono attaccati i computer del costruttore di armi Thomson, l’Agenzia Spaziale Europea ESA, l’istituto Max Planck di Fisica nucleare a Heidelberg, il CERN a Ginevra e l’acceleratore di elettroni ad Amburgo. Il gruppo, nel 1986, in un luogo non rivelato di Berlino Est, avrebbe consegnato ai russi dei dischetti che contenevano migliaia di password e codici informatici, meccanismi d’accesso e programmi che hanno permesso all’Unione Sovietica l’accesso ai centri informatici del mondo occidentale.
È vero tutto questo? C’entra Assange in tutto questo? Sembra di essere nel pieno di un film di spionaggio o di fiction cibernetica, tra Matrix e Il ponte delle spie. Eppure, il suo fascino sembra irresistibile. In qualche modo è una star.
Ken Loach, il regista inglese che racconta storie disperate e crudeli degli ultimi della terra, gli ha regalato un tapis roulant, perché faccia un po’ di esercizio nella sua “prigione” a Londra, dove otto agenti della polizia inglese stazionano 24 ore su 24 appena fuori dall’ambasciata (per un costo calcolato in 4 milioni di sterline l’anno). Tra i suoi avvocati figura anche Amal Alamuddin, moglie di George Clooney. Noam Chomsky, il linguista americano che è una icona ufficiale di ogni movimento di contestazione mondiale e uno spietato critico della società americana, è andato a fargli visita e a incoraggiarlo. Anche Lady Gaga è andata a intervistarlo chiedendogli cose tipo “Qual è il tuo cibo preferito”?
Laura Poitras, è una documentarista, una giornalista e un’artista, e nel 2015 vinse l’Oscar con il suo documentario Citizenfour, sulla storia di Edward Snowden – prima che Oliver Stone ci facesse un film – ex analista della National security agency, uno degli organismi governativi statunitensi che si occupano della sicurezza nazionale. Quello che Snowden ha visto e che descrive nel documentario fa effetto: «Stiamo costruendo il più grande strumento di oppressione della storia dell’umanità». Lo strumento di oppressione di cui parla Snowden è la capacità di intercettare e raccogliere informazioni su tutti, in tutto il mondo, sempre, indipendentemente dal fatto di essere sospettati di qualche crimine.
A pensarci, però, Assange e WikiLeaks – parte di un movimento globale di persone che combattono contro la segretezza intesa come mezzo di controllo e repressione – non hanno mai “svelato” davvero nulla. La Clinton aveva giudizi poco lusinghieri di Berlusconi? Ah, beh, capirai che novità. Gli americani spiavano la Merkel e Sarkozy? Gli americani facevano porcherie sui detenuti di Guantanamo? Gli americani mettevano sotto la sabbia le nefandezze delle loro guerre? La Clinton traccheggiava con il Partito democratico per impedire a Sanders di essere lui il candidato delle primarie? Ah, beh, capirai che novità. WikiLeaks sembra sempre solo “documentare” quello che è già un sospetto comune, in qualche caso un buon senso comune. Questo non toglie valore alla “documentazione”, ma in molti casi – visto anche che sono file spesso filtrati da questa o quella intenzione di Assange e WikiLeaks – ne limitano il significato. È un po’ come con le intercettazioni delle indagini giudiziarie: se stralcio dei passi, o anche solo se trascrivo delle conversazioni senza l’ausilio del contesto in cui si svolgono, può capitare che le cose assumano proprio quella “distorsione” voluta.
É Assange il nostro Neo di Matrix? È lui l’uomo che deve scegliere tra la pillola rossa e la pillola blu, la pillola per “trasfigurare” la realtà del mondo o la pillola per mostrare il mondo come davvero è diventato?

Nicotera, 9 marzo 2017
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 10 marzo 2017

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