Perché non pagare il canone Rai è una scelta democratica.

RAI_CAVALLONon guardo la Rai da secoli, esattamente da quando – sono più di dieci anni, mi hanno regalato un gadget quest’anno – sono diventato un abbonato Sky. È stata una scelta, non mi piacevano i programmi, trovavo noiosi i talk-show, assurdi i reality, di scarsa qualità le fiction che si compravano all’estero o quelle che si realizzavano in Italia, antichi e ripetuti ossessivamente i film. Non sono neppure un appassionato sportivo, e allora – anche se pure in questo settore le cose sono cambiate e non poco – la Rai in effetti mi sembrava offrisse un buon servizio. Difatti, nel mio abbonamento a Sky non ho mai inserito il pacchetto Sport, nonostante me lo abbiano proposto in tutte le combinazioni. E ho anche ridotto il mio abbonamento, prima avevo inserito anche il cinema, ma a un certo punto mi resi conto che anche la loro offerta non mi attraeva più.
Della Rai non vedevo il primo canale, né il secondo e neppure il terzo. Tutti quei programmi che facevano ridere la sinistra a me non facevano ridere per nulla, e anche la presunta qualità dell’informazione mi sembrava più una cosa dovuta che un miracolo straordinario, a cui assistere ripetutamente.
Sono perfettamente consapevole che la mia è stata una scelta opinabile. Mia madre, a esempio, “vive” di Rai, almeno dal primo pomeriggio alla sera: guarda i talk-show, e si schiera con veemenza contro questo o quel politico, segue molto le fiction e si entusiasma. Certe volte, quando vado a trovarla, prova a coinvolgermi, quando a una cert’ora molla tutto per seguire il suo programma preferito. Dice che dovrei smetterla di fare lo snob e non guardare i sceneggiati Rai, che poi sotto sotto lo fanno tutti. Allora io provo a spiegarle che io non lo faccio davvero, e che pure fosse uno snobismo, ne avrei anche diritto, saranno fatti miei, no? Mia madre ha novantatré anni, vive da sola, e considera la Rai il “pane degli anziani”. Lei paga il canone, regolarmente. Da sempre. La capisco.
Comunque, ho fatto una scelta. Mi succede anche con i quotidiani. Da almeno trent’anni non compro “la Repubblica”. Non mi piaceva allora, continua a non piacermi – lo “avverto” dalle prime pagine su cui getto un’occhiata in edicola. Compro il “Corriere della Sera”, e quando, per uno sciopero o un inconveniente della diffusione, non lo trovo, prendo “la Stampa”. Mi succede anche con la verdura – vado dalla signora Mariella, che mi sembra l’abbia migliore del signor Pino –, e anche con la carne, che prendo regolarmente da Antonio, invece che dal cugino Salvatore o dalla signora Giovanna. Mi succede con l’operatore telefonico, e anche con il provider internet. Mi è successo con la fornitura di gas – e mi è costato caro opzionare una scelta sbagliata –, e con quella di elettricità.
Trovo perciò abbastanza offensivo che qualcuno mi consideri un “evasore”: io non evado il canone Rai, io non lo pago perché non utilizzo i suoi servizi e non ho alcuna intenzione di farlo. Da quel che leggo e sento, non mi pare che la Rai sia molto cambiata, anzi si è come cristallizzata, nonostante i diversi governi, le successive Commissioni di vigilanza e le reiterate intenzioni di “voltare pagina”. In un certo senso, la scelta di abbonarmi a Sky è stato anche un gesto punitivo nei confronti della Rai. Credo sia proprio il principio della concorrenza: se un servizio che mi veniva offerto diventa progressivamente scadente, non lo lascio solo per avere un servizio adeguato o migliore, ma anche per punire chi ha profittato della mia disponibilità, come fosse una sudditanza. È così che al mio paese ho visto chiudere bar o altri negozi: i clienti si spostano a seconda del proprio interesse e piacere, c’è chi fa chilometri e va in paesi vicino dove le offerte del supermercato sono migliori o il pane è più gustoso e più a buon mercato. Si chiama proprio libero mercato questa storia qua. E se funzionasse senza trucco potrebbe pure essere una cosa discreta, o almeno ci stiamo abituando. Dovrebbe succedere con i farmaci, con le assicurazioni, con le scuole a cui iscrivere i figli. Dovrebbe.
Non riesco perciò a capire perché – al di là delle ripetute e cicliche intenzioni di privatizzarla – la Rai debba essere considerata un “servizio pubblico” a cui io debba assoggettarmi indipendentemente dalla possibilità di operare una scelta diversa. A esempio, io esercito il mio voto con libertà, a volte premio un candidato, e così ne penalizzo un altro, oppure me ne astengo. Qualcuno potrebbe obiettare che i partiti politici sono giuridicamente “privati” – e difatti si è approvata una legge che prima o poi dovrebbe eliminare il versamento nelle loro casse di denaro sociale –, ma è innegabile che svolgano un “servizio pubblico”. Nessuno però manda con la bolletta dell’Enel il certificato elettorale.
“Mercato libero”. Si chiama così il mio fornitore di elettricità. Perché un soggetto che si presenta come un operatore tra gli altri sul libero mercato dovrebbe diventare il veicolo di una imposta? Sembra come la riscossione delle imposte che in Sicilia – antica eredità di fraintesa autonomia – veniva affidata a discutibilissimi “privati”. Rendendo peraltro opaca la mia stessa scelta nei loro confronti: non potrò neppure cambiare operatore sul mercato della fornitura elettrica, perché tanto l’imposta del canone Rai mi seguirà. Lo farò, di certo, ma sai che fastidi.
A esempio, per tre anni per il gas ho fatto parte di un pacchetto di utenti che si chiamano FUI, fornitura di ultima istanza. Succedeva che andavamo all’asta e venivamo aggiudicati da questo o quell’offerente. All’anno successivo, poteva succedere che finivi con un altro. Tutto senza che tu avessi alcuna voce in capitolo. In un certo senso, eri anche protetto. Però, le bollette non arrivavano, tu non avevi alcuna rendicontazione sul tuo consumo e quando succedeva erano la cifra di quasi un anno, e poi dovevi fare i salti mortali per rateizzare, e dovevi essere preciso nelle scadenza, altrimenti poteva saltare tutto e ricominciare. Come l’avremmo messa, in questo caso, con il canone Rai abbinato?
Trovo orribile questa storia della sovrapposizione tra cose e significati e questioni anche di diritto completamente diverse, ma ammucchiate per via della “rete”. Così, potrebbe succedere che con la fornitura d’acqua arrivi qualcos’altro, oppure che con la fornitura del gas ne arrivi un’altra e via di questo passo. La “rete” diventerebbe qualcosa che somiglia a un percorso daziario medievale: a ogni ingresso si paga un tot per accedere.
Sia chiaro, io non mi impegno in una campagna contro la Rai, né tanto meno contro il canone. Chi la trova interessante, utile, importante ha tutto il diritto di continuare a vederla e tutto il dovere di versare l’importo per goderne dei servigi. Esattamente come faccio io con Sky. Né mi sento più smart o più figo o più intelligente. Trovo però abbastanza curioso che in un mercato concorrenziale ci voglia essere qualcuno che gioca con più opportunità, rastrellando denari, e senza responsabilità, che partita è?
Trovo anche abbastanza irritante che il mancato possesso di un televisore ma l’accertato possesso di un tablet o di un pc o di uno smartphone possa “testimoniare” di un mio godimento a sbafo, e quindi di una ipotesi di penalizzazione. Questo supposto incrocio di dati, questa intrusione nell’uso o meno di miei strumenti, è davvero orribile.
Esistono di sicuro delle tecnologie che rendano in chiaro le trasmissioni Rai per chi le paga e le lascino oscurate per chi non le paga. Credo che la Rai abbia il diritto di difendere i propri prodotti dall’abuso.
Io però non ne abuso. E neppure li uso. Per quale maledetto motivo dovrei pagarli?

Nicotera, 21 ottobre 2015

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