«Riempiranno i posti a sedere destinati alle persone importanti, per ricordare il ventesimo anniversario del più terribile massacro su un suolo europeo dopo il Terzo Reich; capi di Stato, politici, i grandi e i buoni. Ci saranno discorsi e tributi al memorial della città, Potocari, ma l’unica omelia che avrebbe senso sarebbe quella che rispondesse a questa semplice domanda: come è potuto accadere Srebenica?»
Comincia così How Britain and the US decided to abandon Srebrenica to its fate, Come la Gran Bretagna e gli Stati uniti decisero di abbandonare Srebenica al suo destino, il reportage di Florence Hartmann e Ed Vulliamy, pubblicato il 4 luglio, con uno sguardo sulla commemorazione del massacro. Vulliamy è un giornalista e scrive per il «Guardian» e l’«Observer», quotidiani inglesi. La Hartmann era inviata di «Le Monde» nei Balcani negli anni Novanta. Fu la prima a scoprire l’esistenza di una fossa comune a Ovcara Croazia, che conteneva i resti di 263 persone che erano state prese all’ospedale di Vukovar e portate in una fattoria vicina e uccise il 20 novembre 1991 dall’esercito serbo. Tra il 2000 e il 2006 divenne portavoce del procuratore generale dell’ICTY, il Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia all’Aja, Carla del Ponte. Poi pubblicò un libro in cui sosteneva che alcune informazioni riguardanti Slobodan Milosevic erano state “oscurate” dal Tribunale. Fu perseguita, per la diffusione informazioni riservate, e condannata. Ma la Francia non la estradò. Negli anni, ha pubblicato diversi libri sulle terribili vicende della ex Jugoslavia. Florence Hartmann è una tosta. Florence Hartmann sa di cosa parla.
Srebrenica si stende in una valle verde, fra montagne che sorgono dalle rive del fiume Drina. Qui c’era una famosa miniera di argento. Srebro vuole dire argento. Per tre anni, tra il 1992 – quando le truppe serbo-bosniache scatenarono un uragano di violenza dopo il voto con cui la multi-etnica Bosnia dichiarava la propria indipendenza, il che metteva fine di fatto alla Jugoslavia – e il luglio 1995, Srebrenica fu un inferno.
Come fu possibile che gli squadroni serbi della morte, con le mani libere, uccidessero più di ottomila uomini e ragazzi sotto il naso delle Nazioni unite, le cui truppe erano state dislocate appositamente per proteggere le vittime? Chi aprì le porte delle “aree protette” delle Nazioni unite a Srebenica agli squadroni della morte, e perché? Milosevic è morto nel carcere dell’Aja, Radovan Karadzic e Ratko Mladic – che si sono contesi l’appellativo di “macellaio di Bosnia” –, presidente e generale della Repubblica serba di Bosnia, sono detenuti nel carcere del Tribunale dell’Aja. Il generale Bernard Janvier che era a capo delle forze Nato è stato accusato dall’AICG, International Association for the Prevention of Genocide, Crimes Against Humanity and War Crimes, per avere «repeatedly and systematically impeding the necessary assistance to protect both the safe area of Srebrenica and the populations present there since 1992», cioè per avere impedito quell’attacco aereo che avrebbe fermato l’avanzata delle forze serbe. I soldati olandesi, che avevano il compito di proteggere Srebenica, non diedero riparo ai civili terrorizzati che cercavano di rifugiarsi nei loro accampamenti, e guardarono senza battere ciglio i serbi che separavano le donne coi bambini dai loro uomini.
Tutte queste cose ormai si sanno. Ma la Hartmann e Vulliamy raccontano qualcos’altro ancora. Raccontano che una mole di documenti rivela che la caduta di Srebenica era il prezzo che i tre “grandi” – Gran Bretagna, Francia e Stati uniti – insieme alla leadership delle Nazioni unite, pagarono per conseguire “la pace”. Quella pace a spese di Srebenica che raggiunse il suo culmine insanguinato nel luglio del 1995, vent’anni fa.
Finora, si era sempre asserito che la cosiddetta “strategia di fine partita” che diede forma all’instaurazione della pace e alla mappa post-bellica della Bosnia aveva seguito la “situazione sul campo”, dopo la caduta di Srebenica. In realtà, la “strategia di fine partita” fu decisa prima della caduta di Srebenica, che ne era una condizione. Le potenze occidentali che condussero i negoziati non possono certo ammettere che sapevano quale massacro sarebbe accaduto, ma tutte le prove dicono che erano assolutamente consapevoli – o avrebbero potuto esserlo – di cosa volesse intendere Mladic quando diceva che avrebbe fatto “sparire completamente” la popolazione bosniaca musulmana dall’intera regione. Per tre anni, quelle parole avevano significato solo una cosa. Pulizia etnica. Massacri.
Ieri a Srebenica c’erano oltre ottanta capi di Stato e di governo. Tra gli altri l’ex presidente Usa Bill Clinton, l’ex segretario di Stato Madeleine Albright, la principessa Noor di Giordania, la Principessa Anna per il Regno Unito e il Primo ministro turco Avutoglu. A rappresentare l’Italia c’era la presidente della Camera, Laura Boldrini. Bill Clinton ha detto di avere fatto una cosa importante in Bosnia, gli dispiace solo «che ci sia voluto tanto tempo per raggiungere l’unità tra noi amici e decidere di usare la forza per fermare quella violenza». Sul «TheWorldPost» di qualche giorno fa, Muhamed Sacirbey, ex primo ministro della Bosnia e attuale ambasciatore presso le Nazioni unite, si chiedeva invece, a proposito del viaggio di Clinton a Srebenica: Will Bill Clinton Apologize in Srebrenica? Chiederà scusa, Clinton, come ha fatto con il Rwanda, per aver fatto troppo poco per fermare il genocidio?
Ci sono state contestazioni durissime al grido di “Allah Akbar” contro Vucic, il premier serbo che pure aveva parlato di un «crimine atroce». Qualcuno gli ha ricordato quello che diceva quando era nel governo di Milosevic: «Per ogni serbo, 100 musulmani uccisi». Gli accordi di pace di Daytona-Paris – quelli che fermarono il massacro, quelli che i francesi continuano a chiamare di Paris-Daytona come se davvero potessero andare orgogliosi di qualcosa – hanno lasciato troppe questioni irrisolte. Troppe cose sepolte.
Durante la cerimonia sono state tumulate le 136 vittime di cui sono stati recentemente identificati i resti. Ne mancano ancora un migliaio. Troppe cose sepolte.
Obama ha detto che «only by calling evil by its name can we find the strength to overcome it», solo se chiamiamo il male con il suo nome possiamo trovare la forza per superarlo.
L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Mogherini ha dichiarato che «a Srebrenica l’Europa si è confrontata con la sua vergogna. L’Europa non è stata in grado di rispondere alla promessa dei padri fondatori e ai sogni dei suoi nipoti: basta guerre in Europa, basta morti in nome della razza o della nazione. Che non succeda mai più».
Sono parole belle e nobili. Peccato che l’Europa continui a confrontarsi con la sua vergogna. Come altro si potrebbe chiamare quello che succede nel Mediterraneo?
Come è potuto accadere Srebenica? Come può accadere il genocidio del Mediterraneo?
Allah Akbar. Dio è grande. Io lo spero davvero, cos’altro mi resta da fare?
Nicotera, 11 luglio 2015