Io so i nomi. Io so i nomi delle cinque persone cinque che hanno votato Alemanno alle Europee a Limbadi, Calabria. So anche i nomi delle quattordici persone quattordici che lo hanno votato a Nicotera, Calabria. Questa è terra pure mia. Cinque voti su mille, quattordici voti su millecinquecento. Questi sono i voti che Alemanno ha raccolto alle Europee attraverso l’interessamento del clan Mancuso, che sarebbe stato interessato da Salvatore Buzzi. L’avrebbero votato comunque. È che so’ fasci. E delle due l’una. O dice imbecillità il dottor Gratteri – e le decine di ordinanze che hanno mandato in carcere quasi tutta la “famiglia” – che considera il clan Mancuso la più potente organizzazione criminale d’Europa, oppure, se questa è una prova provata della capacità criminale di Buzzi e Carminati, siamo alla bufala, al millantato credito. E siccome il dottor Gratteri come investigatore non è male, vedete voi.
Quarantaquattro arresti per Mafia Capitale 2, la vendetta. I cui cardini “concettuali” sono due. «Qui rubbeno tutti». E uno. «La mucca deve esse’ foraggiata pe’ da’ latte». E due. Migliaia di intercettazioni in cui si parla di tutto, in cui ti pare di vederli, che stanno lì a ingrassare, a millantare, a spaparanzarsi, a filosofeggiare. A togliersi la carne dai denti con lo stuzzicadenti. Certo, la truffa c’è, certo, la corruzione c’è. Grave, l’una e l’altra, soprattutto pensando alle persone che dovevano essere aiutate. Ma questa non è un’organizzazione criminale. Questa è una lunga gita fuoriporta di scrocconi e arruffoni, di truffatori e papponi.
Quarantaquattro arresti in Sicilia, Lazio e Abruzzo per associazione per delinquere, corruzione e altri reati. Sarebbero ventuno gli indagati a piede libero. Il business era quello dei flussi migratori e della gestione dei campi di accoglienza per migranti.
I carabinieri hanno fatto scattare le manette a Roma, Rieti, Frosinone, L’Aquila, Catania e Enna. Nell’ordinanza di custodia cautelare, emessa su richiesta della procura distrettuale antimafia di Roma, vengono ipotizzati a vario titolo i reati di associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori e altro.
Per gli investigatori c’è prova dell’esistenza «di una struttura mafiosa operante nella Capitale, cerniera tra ambiti criminali e esponenti politici, amministrativi e imprenditoriali locali». Gli inquirenti lo definiscono un «ramificato sistema corruttivo finalizzato a favorire un cartello d’imprese, non solo riconducibili al sodalizio, interessato alla gestione dei centri di accoglienza e ai consistenti finanziamenti pubblici connessi ai flussi migratori».
Stavolta ci sono di mezzo le cooperative bianche («Qui rubbeno tutti»). Al centro di molti passaggi dell’ordinanza c’è infatti La Cascina, cooperativa bianca che fa riferimento a Comunione e Liberazione. Secondo l’accusa, la cooperativa garantiva un premio mensile a Luca Odevaine che, dal Tavolo nazionale per l’emergenza immigrazione, gestiva gli appalti per i centri profughi e immigrati. Una volta che La Cascina ha ottenuto l’appalto del Cara di Mineo (aprile 2014), il premio per Odevaine è stato portato a ventimila euro mensili. «Un euro a migrante», questo era il tariffario. Più o meno erano cose che già lo stesso Odevaine aveva ammesso, ricavandone gli arresti domiciliari. Sembra che il giudice Flavia Costantini non abbia dato il via libera a una nuova richiesta di arresto. Due. La vendetta.
E poi ci stanno di mezzo consiglieri comunali, burocrati del Campidoglio, della Regione, politici della Regione. Stavolta si arriva vicino anche a Zingaretti. Buzzi e Carminati davano soldi a tutti, mazzette a destra, mazzette a sinistra, decine, centinaia di migliaia di euro. «La mucca deve esse’ foraggiata pe’ da’ latte».
«Il procuratore Pignatone non riceve i giornalisti e tutti i pm coinvolti, l’aggiunto Prestipino, i pm Luca Tescaroli, Giuseppe Cascini e Paolo Ielo, declinano gentilmente dichiarazioni e commenti». Così, riportano i giornali. Tanto, parlano gli arresti e l’impatto mediatico sulla politica.
Tanto delicato è stato Pignatone che, pur risalendo la richiesta a marzo, ha firmato l’ordinanza solo il 29 maggio. Per non intervenire nella lotta politica, si lascia capire. Dopo la bufera sollevata dalla Bindi, con l’elenco degli “impresentabili”, ci mancava solo sta tornata di arresti. Hanno aspettato qualche giorno, che passassero le regionali, che fossero praticamente digerite, e vai con i titoloni. Pignatone non muove foglia se non ha le prime pagine prime. Se non sconquassa la politica.
Il sindaco Marino – che Dio l’abbia in gloria – è contento. Dice che «Pignatone sta svolgendo, in un certo senso, lo stesso tipo di compito che noi svolgiamo nell’amministrazione». E delle due l’una: o Marino è proprio scemo, o è talmente furbo da pensare che li fotte tutti. Tanto, lui è pulito, e ci pensa Pignatone a eliminargli ogni opposizione. Stavolta, non saprei verso quale delle due propendere, ma la seconda mi sembra troppo lambiccata.
A Salvini non pare vero. A Roma non conta un cazzo, e si è imbarcato quei quattro fuori di testa di Casa Pound per fare un po’ di numero. Con la Meloni, che conta ancora meno benché vada sempre in giro per talk show e dica d’essere la Le Pen d’Italie – bastasse solo tingersi i capelli di biondo – sono passati all’attacco. Dimissioni immediate di Marino, elezioni subito. Per Salvini vorrebbe essere l’occasione per mettere un piede a Roma. L’infame intanto prende di mira i migranti e i centri di accoglienza, come se fosse colpa loro che c’è chi si è fatto d’oro sulla loro pelle.
A soffiare sul fuoco anche i Cinquestelle: «La vergogna non basta. Chi ha fatto da palo e non da commissario dovrebbe dimettersi all’istante», twitta il deputato Di Battista. Che ce l’ha col Pd tutto.
Chi ruba paga, dice Renzi. Che ha un senso della giustizia e della legittimità a corrente alternata, proprio come è scritto, nel senso che se la corrente gli conviene si erge a difensore contro gli abusi, e viceversa. Del Lazio, a Renzi, non gliene fotte proprio, come partito. Ha provato a commissariarlo, peggio mi sento. Marino non è dei suoi, e Zingaretti potrebbe pure essere una spina nel fianco, prima o poi. Si può perdere Roma, per il Pd di Renzi? Intanto, tenerlo sotto botta non gli dispiace, poi si vedrà.
Ci lavorava pure tanta gente nelle cooperative. Volano gli stracci. Massì, chissenefrega. Al rogo, al rogo. Ma quante volte si può bruciare lo stesso colpevole?
Nicotera, 4 giugno 2015
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