Presidente Mattarella, la prego. Prenda in considerazione questa mia proposta. In un periodo in cui si parla tanto di “buona scuola” e la riforma del presidente del Consiglio ha trovato una ferma opposizione dei docenti, io credo che sarebbe di aiuto a capire di quale scuola stiamo parlando.
Nomini Cavaliere del Lavoro la professoressa Flavia Caimi, che è una delle insegnanti dei corsi di alfabetizzazione della scuola Cuciniello di Trezzano sul Naviglio frequentati anche da Abdel Majid Touil, il giovane marocchino al centro di un affaire internazionale. Alla domanda, maligna come sa essere ora il giornalismo che si è convinto di dover fare come «Le Iene» o «Striscia la notizia», del perché non avessero denunciato la presenza di una persona senza documenti ai loro corsi, la professoressa Caimi ha garbatamente risposto: «Noi non siamo questurini, noi siamo insegnanti».
E gli insegnanti insegnano, non denunciano i loro allievi. Come i medici curano, e non denunciano i loro malati. E gli avvocati difendono i loro assistiti – come sta ben facendo Silvia Fiorentino, legale di Abdel Majid Touil – e non li denunciano.
Si è scatenata una forma di isteria sul caso del marocchino destinatario di un mandato di cattura internazionale per il grave attentato al Museo del Bardo. È sembrato che piuttosto che accertare i fatti, le cose, la verità, ciascuno abbia voluto giocare una propria partita politica. E Salvini con il teorema che i terroristi arrivano coi barconi e quindi è cosa buona sparare e affondarli tutti, poi i pesci giudicheranno quelli che erano buoni e quelli che erano cattivi. E il ministro dell’Interno Alfano che lancia tweet di fierezza, per aver mostrato quanto sanno essere lesti e bravi gli italiani quando si tratta di cose serie, epperò poi quando tutto comincia a farsi meno roboante, meno retorico, si mette a fare spallucce. E i giornali che possono sparare i titoloni.
Guardate, non è la prima volta che succede. Quando ci fu quel dannato episodio di Erba, con Olindo e Rosa che a colpi di spranga e coltello ammazzarono Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini con il suo cane, le indagini si concentrarono subito su Azouz Marzouk, il marito di Raffaella, che aveva precedenti penali per spaccio di droga e era uscito dal carcere grazie a un indulto. Soprattutto, Azouz Marzouk era uno “straniero”. Eccolo pronto, bell’è confezionato l’orrendo assassino, il colpevole di ogni efferatezza. Per sua fortuna, Marzouk era in Tunisia in visita ai genitori al momento dei fatti; rientra precipitosamente in Italia, dove viene interrogato dai carabinieri. Le indagini, finalmente, prendono la giusta direzione verso i due “colombi pazzi”.
Per un lungo periodo, nelle indagini per risolvere l’omicidio di Yara Gambirasio, l’unico indagato fu un giovane marocchino, Mohammed Fikri. Fikri era finito nelle indagini perché lavorava in un cantiere di Mapello. Successive intercettazioni – e una traduzione completamente sballata di un’esclamazione – portarono all’arresto. Aveva lasciato un messaggio nella segreteria del cellulare del cugino, che gli doveva duemila euro, in cui diceva “Fischi”, e fu tradotto per “Fiaschi” – per dire. Eppure, non sembrava vero che avessero finalmente preso lo “straniero” che aveva tolto la vita alla povera ragazzina.
Ci fu il caso di Abu Omar, l’imam, che era indagato dalla procura di Milano, sequestrato da agenti della Cia in pieno centro a Milano, mentre si recava in moschea e poi trasferito in Egitto dove fu incarcerato e torturato, senza che fosse effettivamente responsabile. Fu poi liberato, denunciò le violenze subite, fu riarrestato, fu rimesso di nuovo in libertà. In quella sporca storia c’erano coinvolti il nostro Sismi, con i suoi vertici, il generale Pollari e Mancini, e anche i giornali, con Renato Farina che patteggiò il favoreggiamento e poi divenne deputato.
Tutto questo dovrebbe indurci alla cautela. Ma così ancora non è.
Ieri s’è svolta una udienza tecnica, durata oltre un’ora nel carcere di San Vittore, per l’identificazione dell’arrestato e per raccogliere l’eventuale consenso all’estradizione, che ovviamente Abdel Majid Touil non ha dato. Al termine dell’udienza Touil è stato trasferito al carcere di Opera dove è detenuto in una cella a alta sicurezza. Ci sono quaranta giorni di tempo perché le autorità tunisine producano la documentazione per circostanziare le accuse. In parallelo, come fosse un secondo procedimento, camminerà la questione dell’estradizione. Da Tunisi confermano le accuse, anche se il profilo adesso sembra mutato: Abdel Majid Touil non sarebbe tra gli attentatori del Bardo – e non potrebbe mai esserlo stato, a meno di non godere della bilocazione come padre Pio, come sant’Antonio di Padova, dato che era a scuola con la professoressa Caimi giorno 16 e anche giorno 19, l’attentato fu il 18 marzo di quest’anno –, ma potrebbe avere avuto un ruolo come basista nella fornitura di armi, e avrebbe partecipato a degli incontri preparatori dell’attentato.
Adesso si aspettano le carte dalla Tunisia, che le manderà a Roma e poi arriveranno alla procura di Milano. Ci sarà una successiva udienza, con un contraddittorio, e una sentenza. Poi, ogni decisione tornerà nelle mani di Roma. L’avvocato Silvia Fiorentino lascia intendere che non è detto che bisognerà aspettare “da fermi” le carte dalla Tunisia. Se è innocente, se non era al Bardo quel 18 marzo, perché dovrebbe restare in carcere? Tutto è ancora un po’ misterioso, però il profilo che viene tracciato dai vicini, dagli abitanti della comunità di Gaggiano, dove è arrivato il 17 febbraio da Porto Empedocle per raggiungere la famiglia e da dove non si è più spostato, sembra proprio non collimare con quello di un fondamentalista, di un fanatico pronto a arruolarsi, a reclutare, a combattere.
Non abbiamo la più pallida idea di come i tunisini abbiano raccolto elementi contro Touil. L’attentato al Bardo fu un danno enorme per la loro credibilità e va accolto con attenzione la loro premura di approfondire indagini che facciano luce su quell’episodio. Va anche detto che nella lotta contro il terrorismo e contro l’immigrazione clandestina, ci sono troppi e tanti interessi in gioco, troppe fazioni. L’accuratezza e la prudenza – vista proprio la delicatezza delle questioni – in questi casi sarebbero d’obbligo.
In ogni caso, a me rimane impressa la determinata ostinazione a fare della scuola un luogo della cittadinanza – proprio come diceva uno dei nostri padri fondatori, Pietro Calamandrei – della professoressa Caimi, di Trezzano sul Naviglio. L’Italia è anche questa cosa qui. E non perde la testa.
Nicotera, 22 maggio 2015