Moriranno tutti i curdi, fino all’ultimo uomo, donna o bambino, lì a Kobane, sul confine turco-siriano. Lo sanno. L’Isis, il Gran Califfo dell’Orrore, non fa prigionieri. A meno che tu non sia inglese o americano o francese, e possa essere tenuto per un paio d’anni in qualche buco di culo della Siria o dell’Iraq e poi tirato fuori un giorno e conciato con una divisa arancione e messo davanti a una telecamera per sgozzarti. Un curdo non vale neppure un secondo di telecamera del Gran Califfo. Un curdo non vale niente per la Grande Scena dell’Orrore.
Loro lo sanno. E continuano a combattere. Riservano l’ultima pallottola per sé, come Ceylan Ozalp, una ragazza di diciannove anni, sulla prima fila di fuoco. Oppure, come Arin Mirkan, madre di due figli, rimasta senza munizioni, si lanciano addosso al nemico con la loro cintura di esplosivo e si fanno saltare in aria. Quattordici ne ha ammazzati, Arin, e gli ha distrutto un mezzo corazzato. Ne hanno tanti, di mezzi corazzati, i jihadisti. Non basteranno tutte le cinture di Kobane per fermarli. Loro, i curdi, lo sanno. Ma continuano a combattere. Per la loro terra. E per noi.
Avevano sorrisi dolci e occhi di fuoco Arin e Ceylan. Sono belle le donne curde. Sono fatte di terra e di sole. Devono essere aspre le donne curde. Sono mill’anni che combattono. Sono mill’anni che vedono l’orrore, vuoi che si mettano paura per Jihadi John o per Abu Saed al-Britani? Non è per paura che tengono in serbo l’ultima pallottola. Un curdo vivo non l’avranno mai più i jihadisti. È successo a Mosul, non succederà più. È successo a Jarablus – quattro curdi decapitati, tre erano donne. Non succederà a Kobane.
È come Fort Alamo, cento uomini contro i mille e mille del generale messicano Santa Anna, cento schioppi contro mille e mille cannoni. Non ne rimase uno vivo, tirarono fino all’ultimo. È come nel ghetto di Varsavia, rivoltelle e fucili da caccia contro i panzer tedeschi che buttavano giù intere palazzine a ogni tiro di cannone. Non ne rimase vivo uno, tirarono fino all’ultimo. È come a Guadalajara, a Valencia, a Madrid, a Barcelona, durante la guerra di Spagna: non si arresero mai i repubblicani.
È come sempre, quando tutto l’orrore del mondo si concentra in uno spazio ristretto, in una ridotta, in una trincea. E da una parte c’è il bene e dall’altra c’è il male. Non c’è spazio per troppi sottili ragionamenti e distinguo. Troppo vicini, l’uno all’altro, troppo a ridosso. Una sottile linea rossa. O stai di qua o stai di là. Oggi è così a Kobane. È così per loro.
E come a Fort Alamo, come a Varsavia, come a Valencia, c’è sempre qualcuno che dovrebbe arrivare a salvarti e non arriverà mai, non basterà mai.
Gli abbiamo promesso armi, ai curdi, ma non gliele diamo. Gli americani hanno paura a dare armi ai curdi, hai visto mai che poi continuino a combattere per conto proprio. L’ultima volta che hanno dato armi, ai mujaheddin afghani per combattere i sovietici, poi è successa la fine del mondo. Letteralmente. I turchi non faranno passare nessuno per aiutare i curdi, temono che se poi li aiuti quelli si fanno forti e rivendicano la loro terra. E i turchi hanno troppi conti in sospeso coi curdi per dar loro questo vantaggio. Se entrano in territorio siriano, lo faranno per i propri interessi. Abbiamo promesso. Gli americani mandano i loro droni. Anche l’Australia manderà i suoi aerei e anche il Canada. Ce la faranno gli aerei canadesi a arrivare? E quelli australiani? It’s far away l’Australia; it’s far away il Canada. È tutto troppo lontano da Kobane.
È sul campo che si decide la guerra. E lì ci sono i peshmerga a fronteggiare gli jihadisti. Lì ci sono i curdi. Lì c’erano Arin e Ceylan.
Una sottile linea rossa. Kobane è una cittadina di cinquantamila abitanti. È come Rho, come Battipaglia, come Mazara del Vallo. Provate a immaginare la guerra in una di queste cittadine. Si combatte ormai casa per casa, la linea del fuoco è dentro la città, tra i quartieri. L’Isis avanza, da sud, da est. Hanno l’artiglieria pesante. Buona parte dei civili sono fuggiti, turcomanni, azeri, arabi. Sono rimasti i curdi, combattenti e civili.
Io non ci capisco nulla di geopolitica, non saprei neppure spiegare bene cos’è questo “esercito dei volenterosi” messo assieme da Obama dove ci stanno dentro quegli stessi stati arabi che hanno foraggiato per anni il terrorismo fondamentalista e che si combattono in Siria su fronti opposti come già s’erano combattuti in Libia. Non riesco a spiegarmi come dopo un intervento militare durato anni in Iraq e dopo aver messo su e incensato un presidente poi lo si sia deposto e se ne sia messo un altro, e alla fine della fiera ci si ritrova con mezzo Iraq nelle mani dell’Isis.
Adesso tutto questo per me conta poco.
C’è un uomo nero che brandisce un coltello e tiene per la collottola un prigioniero, James Foley, e dopo aver farneticato delle frasi gli taglia la gola. E dice che il prossimo sarà Steven Sotloff. E poi c’è un uomo nero che brandisce un coltello e tiene per la collottola un prigioniero, Steven Sotloff, e dopo aver farneticato delle frasi gli taglia la gola. E dice che il prossimo sarà David Haines. E poi c’è un uomo nero che brandisce un coltello e tiene per la collottola un prigioniero, David Haines, e dopo aver farneticato delle frasi gli taglia la gola. E dice che il prossimo sarà Herve Gourdel. E poi c’è un uomo nero che brandisce un coltello e tiene per la collottola un prigioniero, Herve Gourdel, e dopo aver farneticato delle frasi gli taglia la gola. E dice che il prossimo sarà Alan Henning. E poi c’è un uomo nero che brandisce un coltello e tiene per la collottola un prigioniero, Alan Henning, e dopo aver farneticato delle frasi gli taglia la gola. E dice che il prossimo sarai tu.
Una sottile linea rossa. O stai di qua o stai di là. Oggi è così a Kobane. È così per loro.
È così per noi.
Nicotera, 6 ottobre 2014