Un boia è un boia è un boia

Vorrei che parlassimo di James Foley, il reporter rapito in Siria e decapitato da Jihadi John o da qualcuno che può essere lui, per conto di Abu Bakr al-Bagdadi al-Quraishi al-Hussaini, califfo dello Stato islamico. Vorrei che parlassimo di questo, e non dell’oro rubato agli Incas da Pizarro, dello sterminio dei pellerossa, o dell’estinzione della foca monaca – tutti argomenti di estremo interesse ma che, al momento, non c’azzeccano nulla.
Vorrei che parlassimo di Steven Sotcloff, anche lui decapitato da Jihadi John o da qualcuno che può essere lui, per conto di Abu Bakr al-Bagdadi al-Quraishi al-Hussaini, califfo dello Stato islamico. Vorrei che parlassimo di questo, e non della terra rubata agli aborigeni, delle terribili condizioni delle prime fabbriche a Manchester, o dei gulag e del massacro dei kulaki ordinato da Stalin – tutti argomenti di estremo interesse ma che, al momento, non c’azzeccano nulla.
Dice il professore Abruzzese: «La democrazia si è sviluppata grazie al fatto di avere lasciato interi popoli e intere vite ai margini dei propri territori di appartenenza. La ricchezza delle nazioni è cresciuta sfruttando la carne dei poveri di ogni terra…». Detto con rispetto, non condivido una parola.
C’è un boia tutto vestito e incappucciato di nero, come fosse un ninja, con un coltello in mano e un uomo vestito d’arancione, un prigioniero, che viene scannato. Ci sarà un intero universo semantico da capire e decifrare, è sicuro; tutta una storia della civiltà occidentale fatta di stupri, massacri e saccheggi da prendere a sputazzate, è sicuro; non so se quello, il boia, ce ne lascia il tempo. Ecco, questo non è sicuro.
Giambattista Bugatti, detto Mastro Titta, che fu il boia dei papi, ne eseguì cinquecentosedici, di decapitazioni, descritte tutte nelle sue Annotazioni, fin quando fu messo a riposo. Prima di ogni esecuzione si confessava e faceva la comunione. Non so se Jihadi John, o qualcuno che può essere lui, arriverà a cinquecentosedici decapitazioni e se avrà il tempo di scrivere le sue, di Annotazioni. Né so se prima di segare il collo dei suoi prigionieri si confessi e prenda la comunione, o quel che l’è, da Abu Bakr al-Bagdadi al-Quraishi al-Hussaini, califfo dello Stato islamico. Quello che so è che sembra avere tutta l’intenzione di continuare.
Lui vuole tagliarci la testa a uno a uno. A tutti noi. È appena all’inizio e non ha l’aria di essere stanco. Dev’essersi ben allenato, ha un sacco di lavoro da fare. Potremmo provare a parlargli della democrazia e della ricchezza delle nazioni, se fossimo lì, in tuta arancione, fra le sue mani. Potremmo provare a parlargli dell’oro rubato agli Incas da Pizarro e dell’estinzione della foca monaca, mentre affila il suo coltello. Non so se il suo copione lo preveda.
Il venti settembre del 2001, con le macerie ancora fumanti delle Torri Gemelle, George W. Bush si presentò al Congresso e parlò ai suoi deputati e alla Nazione. Disse, fra l’altro: «Americans are asking: Why do they hate us?» Gli americani si chiedono: perché ci odiano? E si rispose, citando Roosevelt: «Loro odiano le nostre libertà, la nostra libertà di religione, la nostra libertà di parola, la nostra libertà di votare e riunirci e argomentare l’uno verso l’altro».
Era un Roosevelt “revisionato”. Il Roosevelt “originale” è quello del messaggio sullo stato dell’Unione il 6 gennaio 1941, una delle più belle orazioni di un leader politico, e che è passato alla storia come il “discorso delle Quattro Libertà”. Che diceva così: «The first is freedom of speech and expression – everywhere in the world. La prima è la libertà di parola e di espressione – ovunque nel mondo». Poi, la libertà di adorare Dio, ciascuno a modo proprio. Poi, la libertà dal bisogno. Infine, la libertà dalla paura. Rievocava, questa parte, il suo discorso di insediamento il 4 marzo 1933, quando l’America era sconvolta ancora dalla Grande Depressione: «L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa».
A Jihadi John, o a qualcuno che può essere lui, non gliene frega niente della nostra libertà di espressione, e non gliene frega niente della nostra libertà di adorare Dio, comunque ci aggrada. E non gliene frega neppure niente della nostra libertà dal bisogno, o della nostra libertà di votare e eleggere dei rappresentanti. A lui interessa solo l’ultima voce dell’elenco: lui vuole farci avere paura. Vuole diventare il nostro “uomo nero” degli incubi. Il nostro nightmare. Quello che si racconta nelle favole terribili per far spaventare i bambini. Quello delle filastrocche. In Germania ce n’era una che faceva così: «Warte, warte nur ein Weilchen / bald kommt der Schwarzmann zu dir / mit dem kleinen Hackebeilchen / macht er Schabefleisch aus dir / du bist raus! Scappa scappa monellaccio / se no viene l’uomo nero / col suo lungo coltellaccio / per tagliare a pezzettini / proprio te!» [La citava Benjamin, e il film M – il mostro di Düsseldorf inizia proprio con la cantilena]. Ce n’era un’eco in una ninna nanna italiana: Ninna nanna, ninna oh / questo bimbo a chi lo do? / Lo do all’uomo nero / che lo tiene un anno intero.
Due anni interi l’uomo nero s’è tenuto James Foley. E poi l’ha fatto a pezzettini.
Solo che questa storia non è una filastrocca.
C’è un paese qui vicino, Giffone, Reggio Calabria, dove il santo protettore è san Bartolomeo. Quest’anno c’è stato un casino con la processione, perché il vescovo l’ha vietata per via degli inchini e tutte quelle storie là, che i fedeli ci si sono pure incazzati. E allora l’hanno fatta a Fino Mornasco, Como, dove c’è una bella comunità di calabresi, fedeli al santo patrono, che c’è pure una copia della statua che sta giù al paese di Giffone, che l’hanno fatta con una colletta e queste cose qua.
San Bartolomeo è ritratto con un coltellaccio in mano, che solleva in alto, e tiene poggiata sull’altro avambraccio la propria pelle, con la faccia pure e tutto, che fa una gran impressione. Perché fu il suo martirio, quello di essere scuoiato – il coltellaccio che tiene in una mano lo ricorda.
Ecco, vorrei fare una preghiera a san Bartolomeo.
Riguarda Jihadi John, o qualcuno che può essere lui.

Nicotera, 5 settembre 2014

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