Gente di mare e gente no

La nave Sirio è uno dei due pattugliatori d’altura appartenente alla classe Costellazioni II. Il suo abituale porto di assegnazione è Augusta, Sicilia. È adibita al servizio di vigilanza sulle attività marittime e economiche sottoposte alla giurisdizione nazionale nelle aree situate al di là del limite esterno del mare territoriale – così si legge sul sito del ministero della Difesa. C’è una storia dietro questo nome: la prima Sirio classe “Aldebaran” fu una torpediniera, varata nel 1883 dal cantiere Thornycroft di Londra e consegnata alla Regia Marina il 19 giugno dello stesso anno. La seconda Sirio fu varata nel 1905, la terza nel 1936. L’attuale nave Sirio è stata varata presso i cantieri Fincantantieri di Muggiano, La Spezia, e è stata consegnata alla Marina Militare nel maggio del 2003. Ha una lunghezza di 88,6 metri e una larghezza di 12,2. L’apparato motore è costituito da 2 diesel Wartsila W12V-26XN con due eliche a pale orientabili e permette una velocità massima di 22 nodi. Può portare fino a settantadue persone di equipaggio. Il capitano di Fregata Marco Bilardi è il comandante del pattugliatore Sirio. Di sicuro lui sa tutta la storia delle navi Sirio – un pezzo della storia della Marina italiana –, e come ogni uomo di mare sarà fiero dell’unità che comanda.
Sabato 23 agosto il pattugliatore Sirio ha soccorso settantatre migranti da un gommone in difficoltà, imbarcando anche diciotto salme ritrovate a bordo dello stesso natante. Il Sirio ha inoltre soccorso e recuperato altri migranti da un altro natante sbarcando tutti a Pozzallo, Sicilia: 266 migranti vivi. Diciotto salme.
Poi, il capitano di Fregata Marco Bilardi è ripartito, con i suoi settantadue uomini, a pattugliare il mare. Cioè, ormai da anni, a salvare migranti e recuperare cadaveri. È un uomo di mare, e in mare c’è una sola legge. «Il mare non è una strada, dove se il pulmino ha fatto salire troppe persone si accosta ai lati e le fa scendere. In mare se scendi sei morto», dice l’ammiraglio Giovanni Pettorino, del Comando generale delle Capitanerie di Porto.
Potrei parlarvi della fregata Fasan – che domenica mattina 24 agosto ha sbarcato a Reggio Calabria 1373 migranti e una salma, recuperati nelle operazioni di venerdì e sabato. Oppure, del pattugliatore Foscari, della corvetta Fenice, della CP motovedetta 904 della Capitaneria di Porto e della nave mercantile Burbon Orca, che negli stessi giorni hanno soccorso e portato in salvo rispettivamente 80, 32, 250 e 2 migranti. Sei le salme recuperate. Oppure, della nave San Giusto, che in un pomeriggio di agosto ha sbarcato a Crotone 1367 migranti, tra cui 192 donne e 156 minori. O ancora delle motovedette delle Capitanerie di Porto CP401, 267 e 289 che hanno soccorso duecentosettantasette migranti sbarcandoli nel porto di Trapani.
Ogni volta devi fare la partita doppia, fra i vivi e i morti. Secondo l’Unhcr – Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – nel Mediterraneo nel 2014 sono morte 1.889 persone, 1.600 solo dall’inizio di giugno. Però, dice l’ammiraglio Pettorino, «dall’inizio dell’anno siamo riusciti a salvare tante persone: sessantamila la Marina, ventiduemila noi, più o meno altrettanti i mercantili. Se quest’operazione non ci fosse stata, sarebbe stata una strage continua».
Il numero preciso, l’ha dato il capo di Stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi: circa 113mila migranti sono stati salvati. Io sono fiero di queste cose qua che fa la Marina, e la Guardia costiera e le navi mercantili. Sono fiero che siano italiani, come me. Mi piacerebbe stringere la mano al capitano di fregata Marco Bilardi, a tutti i suoi settantadue uomini, e a tutti quelli che come loro battono il Mediterraneo salvando vite.
Io credo che Giampaolo Pansa non abbia mai visto il mare. È un terragno, non che sia una menomazione o un insulto. Ma per Pansa, piemontese, il mare tutt’al più è qualcosa che ha a che fare con la bagna cauda e le acciughe salate che servono per farla. Bisognerebbe portarcelo al mare, anche con un salvagente, che so, una paperella, per evitare che vada giù a piombo. Giorni fa ha scritto su «Libero» che tra gli immigrati che salviamo ci sono dei terroristi, pronti a ammazzarci, e che bisogna «mettere da parte il buonismo, lo spirito di carità, l’ottimismo eccessivo, la faciloneria generosa». Ho paura che se lo portiamo al mare non presta la sua paperella agli altri bambini.
Pure Vittorio Feltri, secondo me, non ha mai visto il mare, e se ne fa un punto d’onore. È bergamasco, e non si può piantare nulla nel mare e neppure costruirci case e villette a schiera e capannoni industriali, a cosa potrà mai servire, il mare? Giorni fa sul «Giornale» ha scritto che «d’ora in poi siamo obbligati a dar corso a una campagna di dissuasione: statevene a casa vostra, non imbarcatevi, perché stareste peggio qui che laggiù, senza contare i rischi che correreste durante la navigazione». Chissà cosa pensa di fare Feltri, di cannoneggiare i barconi e i gommoni, di speronare quelle zattere, di mitragliare quelle povere vite.
Anche Pansa e Feltri sono italiani. Almeno credo.
Però, non come il capitano Marco Bilardi e i suoi settantadue uomini o l’ammiraglio Pettorino. E neppure come me. Noi, il mare, lo conosciamo.

Nicotera, 27 agosto 2014

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