Spero che queste mie note – con un po’ troppo di parole e numeri – vengano lette da Grillo o da qualcuno del suo staff in grado di fargliene un sunto o da un qualunque militante. Mi farebbe piacere venissero prese in considerazione e ragionarci. Altrimenti, vabbè, mi sembrano sensate comunque.
Alle ultime politiche del febbraio 2013 ho sostenuto il Movimento 5 Stelle e, per quel che vale, ho fatto “campagna elettorale” in questo senso. Alle elezioni europee del 25 maggio mi sono astenuto e, per quel che vale, ho fatto “campagna” di astensione. Per quel che ho capito, credo di non essere stato il solo, nell’astensionismo, a venire da un voto al 5 Stelle. Non c’entra la disaffezione, semmai forse di più la disappartenenza, oppure, se si vuol usare una vecchia espressione democristiana di Fanfani e Moro, una sorta di occasionale «convergenza parallela»: credo che una certa fluidità vada assieme a un proprio “specifico” interesse politico in questa o quella elezione. Alle ultime politiche pensavo fosse importante che non si affermasse quello che sembrava inevitabile, il patto Bersani-Monti, e che andasse piuttosto messa in crisi ogni idea di facile governabilità. Questa volta, alle elezioni del 25 maggio, era secondo me importante provare a mettere in crisi la Commissione europea, proprio quando per la prima volta – con il tentativo di recuperare quella che finora appariva come una evidente mancanza di legittimità – si esprimeva direttamente una propria indicazione per il presidente: se l’astensionismo avesse raggiunto una cifra intorno al sessantacinque-settanta per cento, altro che euroscetticismo. Non è andata così. In genere mi sembra si possa dire che la (quasi) maggioranza degli elettori europei abbia scelto una qualche stabilità, che non potrà che darsi forma in un rinnovato patto tra popolari e socialdemocratici. Ho anche l’idea che quest’Europa che risulta dal voto è ancora più tedesca e, considerando che è numerosa la pattuglia degli euroscettici nonché enorme quella degli astenuti, la Merkel e Schultz non potranno – me lo auguro, almeno – non tenerne conto.
A me interessa però in questa mia lettera parlare del risultato del Movimento 5 Stelle. Che non mi sembra per nulla male. Non sono un politologo e non ho fatto altro che mettere a confronto un po’ di cifre e dati riferiti alla Sicilia. Non solo perché parlo di quello che conosco un po’ di più, ma anche perché i dati siciliani – nell’arco che va dalle regionali dell’ottobre 2012 alle europee di pochi giorni fa, passando per le politiche e le comunali – mi sembrano abbastanza indicativi, proprio per il loro altalenarsi, di alcuni caratteri del Movimento.
Dunque, alle regionali dell’ottobre 2012, M5S prese il 18.7 per cento (il candidato a governatore, la lista prese il 14.8). A Messina e Ragusa (spiegherò poi perché ho scelto queste due province), la lista prese rispettivamente il 13.8 e il 25.5, una forbice che sommata e divisa per due darebbe proprio la media del risultato generale. Un risultatone, direi, considerando le condizioni di partenza, cioè zero, che “ripagava” quella fatica e quell’impresa dell’attraversamento dello Stretto a nuoto – ma credo che siano state altre le determinanti di quel successo.
Alle politiche del febbraio 2013, per la Camera nella circoscrizione Sicilia 1 (quella occidentale) il M5S prende il 34.5 per cento e in Sicilia 2 (dove stanno Messina e Ragusa) il 32.7 per cento. Al Senato, dove la circoscrizione è unica, prese il 29.5 per cento. Un balzo incredibile e straordinario, rispetto alle regionali di pochi mesi prima. Più in dettaglio, a Messina per la Camera prese il 25.7 per cento e per il Senato il 21.4; a Ragusa, rispettivamente per Camera e Senato il 39.3 e il 34.5. questa volta la somma delle due province non dà la media regionale, anche perché c’è un avanzamento in tutta l’isola, con alcune punte notevoli (come a Ragusa, appunto). Però, in entrambe le città la differenza dei voti raccolti per la Camera e il Senato è tra il 4 e il 5 per cento. Non è molto per definire l’importanza del voto più giovane verso il M5S, però un elemento in questo senso ce lo dà.
Poi ci furono le comunali nel maggio 2013. E questo è davvero interessante, anche perché in entrambi i comuni, di Messina e Ragusa, si andò al ballottaggio. A Messina, al primo turno il M5S prese solo il 2.5 e a Ragusa il 9.6 (il candidato sindaco, Piccitto, prese il 15.6). Due risultati deludenti, se confrontati con quelli dell’anno prima. Però, a Messina correva Renato Accorinti, un «cavallo pazzo», come lo ha definito Gian Antonio Stella, ovvero un indipendente con una lunga storia di lotte democratiche e un buon radicamento personale nei quartieri e una emblematica carica critica a quell’apparato di affari (e spesso di malaffari) intorno al Comune che poi esplose in casi giudiziari. Accorinti, insomma, calamitava tutto il voto di protesta e speranza e precluse ogni strada al M5S (non conosco dettagli sulle occasioni di incontro tra le due liste, né la composizione dei candidati del 5S, però non credo che cambino molto le cose). Comunque, sia Accorinti a Messina che Piccitto a Ragusa arrivarono incredibilmente al ballottaggio, e, ancora più incredibilmente, vinsero la loro corsa e diventarono sindaci. Nell’un caso e nell’altro – questa è un’ulteriore affinità – i loro avversari erano del Partito democratico. Accorinti, in un recente sondaggio – adesso non è che tutti i sondaggi fanno schifo – è stato votato come il sindaco “più amato” tra le nuove facce a capo di amministrazioni comunali. Sembra un po’ lo «schema PIzzarotti»: per le elezioni amministrative a Parma, maggio 2012, al primo turno il M5S prese il 19.9 contro il 39.2 dell’altro candidato, Bernazzoli, del Partito democratico: al ballottaggio, invece, Pizzarotti vinse. E comunque, essere riusciti a conquistare un comune non proprio minuscolo come Ragusa, partendo dal 9.6 è un’impresa in cui ha avuto sicuramente un ruolo il candidato ma dovuto anche all’andamento generale e alla spinta e alla credibilità del movimento.
E adesso vediamo cosa è successo alle europee. In Sicilia il M5S raccoglie il 26.3, un risultato lusinghiero e ben al di sopra (di cinque punti) del dato nazionale. Questo non ne fa certo un “partito siciliano”. Anche in Sicilia ci sono state tensioni all’interno del movimento, e fuoriuscite e cacciate (alcune clamorose). Direi anzi che in Sicilia (a parte Pizzarotti e Parma e l’Emilia) c’è stata una sovraesposizione mediatica. Si è passati dal «modello Sicilia», proposto dal governatore Crocetta e fatto proprio da Bersani e da diversi giornali e opinionisti nel momento dello stallo dopo le politiche e della ricerca di una soluzione (e del famoso streaming) – come se il 5S avesse dato una cambiale in bianco al governatore –, alla generale condanna mediatica per inconcludenza e “militarismo” della gestione del gruppo regionale. Però, non sembra che tutto questo abbia scalfito granché la disponibilità degli elettori siciliani a credere nel movimento. Forse conterà pure l’assenza di un competitor, come al nord (oves e est) e al centro (Toscana, Emilia) è stata la Lega che si è ripresa abbastanza bene e rosicchiato voti, e forse conterà il risultato siciliano del Pd, che pure è un notevole 35 per cento (tanto notevole da essere uno dei più alti storicamente e da aver permesso il raggiungimento della soglia “straordinaria” nazionale del 40 per cento, sommandosi a regioni dove da sempre si viaggia tra il 45 e il 55). Va tenuto conto che in Sicilia ha votato solo il 42 per cento, contro una media nazionale del 58 per cento: ma questa ondata astensionista, pur avendo tolto voti al 5S, non lo ha colpito come altrove.
A Messina – dove, ricordiamo, alle comunali di un anno fa, la più recente occasione di voto, il M5S aveva preso solo il 2.5 per cento – alle europee il movimento raccoglie il 19.5. Buttalo via! E a Ragusa il risultato è di nuovo straordinario: il 30.6 per cento. Forse a Ragusa c’è ora un modo degli elettori di misurare la concretezza del movimento attraverso un sindaco, mentre a Messina questa possibilità manca e quindi a “tirare” è ancora una disponibilità generica. Non lo so. Quello che so, e che i numeri confortano al di là di ogni ragionamento, è che il M5S ha un bacino elettorale fortissimo e nonostante alcuni notevoli bassi e notevoli picchi raggiunge una media di voto e di “peso” davvero impressionante.
Fin qui i numeri.
Dove raccolga i propri voti il M5S – a parte il significativo segmento dei più giovani e a parte i ballottaggi, dove riesce a pescare a piene mani anche nell’elettorato di centro-destra, che è peraltro un meccanismo “normale” nelle votazioni amministrative e comunali, come accaduto anche per Accorinti, che non è un 5S – non saprei proprio dirlo. Ma in una regione dove non ci sono componenti sociali particolarmente strutturate e forti si può sostenere che sia un voto trasversale alla società, dove giocano diversi “sentimenti”, di rabbia, disperazione, frustrazione, speranza, vendicatività. E dove inoltre sia l’ossessione della “rete” che la nuova frequentazione mediatica hanno un peso minore (se non nel cerchio più ravvicinato e manifesto di simpatia) e c’è invece una scaturigine direttamente popolare che viene intercettata. Grillo è stato “individuato” come colui che gliele canta al sistema, che manda a casa quegli arraffoni dei politicanti: tutto il resto rimane sullo sfondo.
In un arco temporale breve – dalle regionali alle europee, esattamente un anno e mezzo – dall’attraversamento a nuoto dello Stretto e da quel faticoso tour a oggi il M5S è passato in Sicilia attraverso quattro campagne elettorali, praticamente una ogni quattro mesi e mezzo. Tra l’elaborazione dell’una e la preparazione dell’altra, si può dire che il M5S sia stato in pausa una manciata di mesi. Certo, non tutti sono mobilitati per tutto. Ma è immaginabile che il signor Cancelleri (il candidato a governatore) se ne sia stato con le mani in mano per le politiche? È immaginabile che il signor Piccitto (il sindaco di Ragusa) se ne sia stato con le mani in mano per le europee? Con questo non intendo dire che l’uno o l’altro (e tutti gli altri) non abbiano trovato il tempo per il mestiere a cui sono stati eletti. Dico solo che questa fibrillazione continua per la prossima campagna elettorale è stata sinora la salvezza per il movimento.
Il movimento 5 Stelle è un movimento elettorale, almeno sinora è stato questo. Un movimento di rappresentanza istituzionale che si mobilita di volta in volta per la scadenza elettorale a cui è chiamato. Immaginare una progressione senza fine delle percentuali che si possono raccogliere è come pensare che le elezioni e la rappresentanza istituzionale stiano in una bolla senz’altro tempo che le proprie scadenze. O, al contrario, pensare che necessariamente tutte le contraddizioni della società lì si riversino senza soluzione di continuità. Devo aver letto da qualche parte di un blog 5 Stelle che qualcuno pensa che il cappellino di Casaleggio abbia tolto voti, perché lo facevano oscuro e inquietante. Dico questo con la stessa ironia con cui invece ne ha parlato Grillo. Ma è sintomatico di una ricerca e di un’analisi tutta rivolta “all’interno” per cercare le cause di uno stop, o, tutto al contrario, tutta rivolta a un “complotto nemico” dell’esterno – «ci hanno dato contro tutti», come proprio questo non fosse stato sinora un motivo di lievitazione dei propri voti.
Si può immaginare un movimento che viva di scadenze elettorali? Si può ridurre tutto il proprio “agire politico” alla prossima campagna di voti? Non dico certo che nelle more tra una campagna e l’altro i rappresentanti 5S si girino i pollici. Dico però che la stessa “forma” che il movimento ha (molto informale e fluida) e lo stesso ruolo performativo che Grillo vi gioca (e chi altri potrebbe?) sono strettamente legati a questo carattere di “campagna elettorale permanente”.
Le cose, è vero, sono più complesse: sinora Grillo ha ben interpretato i passaggi della politica. Alle politiche del febbraio dello scorso anno chiedeva voti non solo per far crescere il movimento ma anche per bloccare una Grande Intesa e quindi intestandosi l’unica reale opposizione: gli andò bene. A queste europee, ha capito che la “nazionalizzazione” che stava facendo Renzi era una sorta di “legittimazione” del proprio governo, che era succeduto, senza voto, a Letta, che a sua volta era succeduto, senza voto, a Monti, che a sua volta era succeduto, senza voto, a Berlusconi. Battere Renzi avrebbe provocato una evidente delegittimazione del suo governo e probabilmente una richiesta di elezioni anticipate che sarebbe stato difficile ignorare. Mi sembra, insomma, che da parte di Grillo ci fosse tutt’altro che una esagitazione senza scopo o la mancanza di un “programma.” Credo anche che questo ragionamento – per nulla misterioso o dovuto alla mia particolar arguzia – sia stato percepito, e che proprio un bisogno di stabilità, e di governo, abbia mosso alla partecipazione e a questo consenso verso Renzi, a cominciare dal compattamento del partito democratico. Questo delle europee, col completo risucchiamento dei voti di Scelta civica e il superamento anche a stento del 4 per cento da parte dell’Ncd di Alfano, è un voto governativo, proprio il contrario di quello per cui si è battuto Grillo (e, più modestamente e diversamente, anch’io).
Le cose perciò sono più complesse ma il M5S rimane un movimento elettorale e non un movimento politico. Almeno, non un movimento politico per come lo si è inteso sinora. Il voto a Renzi, qualcuno ha parlato esagerando di “plebiscito”, cambia le cose, dalla crisi del 2011 e dalle dimissioni di Berlusconi. Se questo è davvero un voto di stabilità e di attesa – non una cambiale in bianco, certo – la corsa al prossimo voto troverà uno stop. Renzi parla già di 2018, e forse è un po’ troppo ottimista, ma è difficile pensare che nel governo scattino delle fibrillazioni che portino al voto anticipato e figurarsi se succede in un parlamento dove il partito democratico ha, senza merito se non una legge-truffa, una maggioranza schiacciante di voti (compresi quelli di Sel). Certo, vediamo che succede sulle scadenze di riforme già in programma (elettorale, lavoro eccetera). Vediamo.
Credo che il carattere principale di un movimento politico stia nella capacità di rendere in qualche modo stabile, in proprie forme associative, la simpatia che progressivamente raccoglie, traducendola in un agire sociale che ha caratteri di opposizione ma anche di istituzionalità, cioè di autorevolezza territoriale.
Pur se molto differenti le forme, i caratteri, le ragioni, la diffusione, ci sono alcune somiglianze tra il percorso della Lega Nord (parlo della prima Lega, quella fino a Bossi in salute) e quello del 5Stelle. Una in particolare: per la Lega l’orizzonte temporale era la secessione (poi divenne il federalismo) e su questo giocava le scadenze elettorali come una continua accumulazione di voti. Il rinvio dell’alba in cui sarebbe spuntato il sole dell’avvenire secessionista immaginava una continua progressione. La Lega però non ha mai costruito sindacato (tranne quelle cose misteriose della Rosi Mauro), non ha mai dato continuità e sostanza a una battaglia sulle tasse e sul fisco, e delle forme associative non c’è traccia tranne miss Padania, una sede di parlamento che èera poco più di un pastrocchio e la squadra di calcio (delegata al figliolo di Bossi): il giornale era una voragine di debiti, così la radio eccetera. Gli amministratori locali hanno funzionato per lo più bene ma, a partire da FlavioTosi o da Zaia, sembrano davvero una mutazione.
Io però non parlo dell’amministrazione della cosa pubblica – non penso né a Pizzarotti, il cui percorso sembra comunque simile a quello di Tosi, né al Piccitto di Ragusa, di cui ho detto prima, o a altri. Non parlo, insomma, dei rappresentanti istituzionali che hanno bisogno di capire i meccanismi, di studiare e prepararsi, che intanto restituiscono i loro soldi, che subiscono le prime sirene del potere e quindi i rimescolamenti.
Parlo piuttosto dell’elettorato, diciamo così.
Mantenere il bacino di simpatia in uno stato di “elettore permanente”, mobilitandolo solo in occasione dei tour di Grillo, è secondo me proprio il meccanismo che va scardinato per costruire un movimento politico. Non basta informarlo delle iniziative che fanno i loro rappresentanti nelle istituzioni. E non basta ridurre l’esercizio della democrazia diretta alla scelta dei candidati o di questa o quella proposta di legge. Bisogna cioè produrre agire politico dentro la società. Vede, signor Grillo, a fare i consiglieri o i deputati sono buoni tutti, basta essere un po’ svegli e dedicarsi. Battersi nei territori, sulle questioni più particolari, o trasferirvi questioni più generali, richiede invece delle qualità diverse, molte delle quali si formano nell’esperienza dell’organizzazione e dell’associazione per questa o quella iniziativa.
L’autorevolezza sociale, la capacità di costruire “istituzione sociale” non si misura solo nel voto. D’altronde se il M5S è un movimento di rinnovamento non può pensare che questo si traduca solo nella sostituzione del “personale politico corrotto” con un altro vergine e immacolato, senza che vi sia una spinta radicale di mutamento che passa e si organizza e istituzionalizza già nella società.
A me pare che questo sia un po’ il passaggio a cui è chiamato il M5S. che è anche un passaggio del momento della società politica.
Dopo le politiche del febbraio 2013, “chiesi” a Grillo – insomma, scrissi un breve post – di organizzare immediatamente un referendum sull’euro. Sarebbe stato a mio avviso un buon abbrivio per le elezioni europee, una occasione di parlare direttamente con i cittadini, raccogliere e valutare i loro umori, tesorizzare questa mobilitazione poi per la vera e propria campagna, che avrebbe potuto contare anche su dei momenti associativi che nel frattempo si sarebbero costituiti. Non è andata così. La campagna si è svolta solitamente, tutta attorno i comizi di Grillo e la risonanza mediatica di questi momenti [non che abbia fatto tutto solo lui, ma la “forma dell’agire politico” sempre questa è stata, il comizio, e prima il tour dello show].
È probabile che adesso Grillo e lo staff più stretto del M5S pensi sia bene far partire una sequenza di referendum, a cominciare da quello sull’euro. Non dico non sia una cosa buona, seppure in ritardo: dico, però, che la leva di costruzione di un movimento politico non può essere solo una sequenza di referendum. Alcuni finiscono per perdersi nel nulla, alcuni vengono annullati poi. Sono un sostegno alla costituzione di un movimento, ma non sono la panacea di questo passaggio.
E non sta a me certo dire quali dovrebbero essere i punti e i momenti costitutivi di questo passaggio.
Nicotera, 1 giugno 2014
Lafranco, ma tu pensi davvero che l’elettore medio pentastellato si avventuri nella lettura di un testo come questo, che – dio te ne renda merito – non contiene slogan, immaginette accattivanti, video o spottini?
ma allora non hai capito veramente nulla? 🙂
le vie che portano al cuore dell’elettore medio sono infinite.
insomma, una qualche cazzo di speranza la devo tenere.
anche se, mi sembra, qualcosa nell’universo M5S si va muovendo.
o è solo un effetto ottico?
……………:) (Y)