Un parlamento europeo vuoto, questo sarebbe più appropriato. I dati non sono ancora definitivi, e soprattutto l’attenzione dei media – quando ne parlano – si concentra sulla distribuzione dei voti e dei seggi tra le forze politiche, e solo di sfuggita – sarà per velinismo, sarà per vergogna? – parlano dell’affluenza alle urne, o meglio dell’astensionismo.
Che sta diventando una valanga.
Ci si aspettava che il voto in Est Europa fosse massiccio. In fondo, sono loro i nuovi arrivati e quelli che più di altri hanno premuto per aderire all’Unione europea. Se pensiamo all’Ucraina, a esempio, che dovrebbe – dico, dovrebbe, perché questa è la vulgata giornalistica – essere scesa in rivolta per il suo desiderio di aderire all’Europa, sembra evidente.
Però, il voto nella Repubblica ceca ha visto partecipare solo il 20 per cento degli elettori. Il 20 per cento, praticamente funzionari di partito e di Stato e le loro famiglie, amministratori locali e parenti, insomma tutti quelli che sperano di risollevare il proprio tenore di vita attraverso gli aiuti dell’Europa.
E in Irlanda, dove si è votato ieri – anche qui in combinazione con le Amministrative che di fatto hanno trascinato un po’ il voto – i risultati, benché non così clamorosi come nella Repubblica ceca, si vanno allineando a quelli di ieri di Olanda e Inghilterra.
Alla fine, vedrete il risultato più “europeista” si avrà in Belgio e Lussemburgo, dove votare è obbligatorio.
E come andrà oggi in Italia?
Vorrei riportare qui lo “storico” dell’affluenza italiana alle Europee, dove si dimostra che non è affatto vero che l’affluenza sia sempre stata bassa, anzi abbiamo spesso avuto il “primato”, ma che lo è diventata progressivamente. E questo è un dato “politico”.
Nel 1979, alla prima tornata elettorale europea, l’Italia fece registrare il maggior dato d’affluenza (85,65%), quando si votava solamente in nove paesi (Danimarca, Germania, Irlanda, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito, oltre appunto a Italia, Belgio e Lussemburgo).
Nel 1984 votò comunque l’82,47% degli aventi diritto e nell’89 si confermava il primato per il terzo anno consecutivo (81,07%), mentre, nel frattempo, si erano uniti anche Grecia, Spagna e Portogallo.
Prima flessione nel 1994. Si vota il 12 giugno per il Parlamento Europeo, e va a votare il 73,6%. Rimaniamo però il primo paese per votanti (esclusi i soliti Belgio e Lussemburgo, dove il voto è obbligatorio).
Nel 1999 il dato d’affluenza peggiora ancora: 69,76%. L’Italia alla Grecia cede il primato dei votanti percentuali nei paesi in cui il voto non è obbligatorio. Nel 2004, aiutati dall’election day in concomitanza con le amministrative, i numeri risalgono un po’: vota il 71,72% degli aventi diritto.
Nell’ultima tornata, si tocca il minimo assoluto per il nostro paese: 65,05%.
Ecco, questi sono i dati.
Se questi dati si invertiranno, se cioè il 65 per cento degli elettori non andrà a votare, di che parleremo?
Del 25 o 30 per cento di Renzi o di Grillo? E quanto valgono in termini di votanti? Poco più del 10 per cento degli elettori. Questo è il dato. E vogliono governare con il dieci per cento dei voti?
Andate a casa ragazzi, lo sceneggiato è finito.
Abbiamo da lavorare. A domani.
Nicotera, 25 maggio 2014