Terremoto in Sicilia, magnitudo 5.8. È la politica e non fa vittime. O forse sì.

accorintiChe succede in Sicilia? Prima, alla tornata elettorale del 2012, le anomale elezioni di Leoluca Orlando — che scese in campo a riprendersi la sua città contro il suo stesso schieramento — a sindaco di Palermo e di Rosario Crocetta — che da indipendente riuscì a mettere assieme un Pd diviso letteralmente a metà — a governatore della Regione, certo non proprio facce nuove e “discontinue” ma personaggi abbastanza fuori dal coro, forti di una personalissima immagine e di un proprio seguito. Adesso le sorprese dopo i ballottaggi a Messina e Ragusa di due sindaci “inimmaginabili” sulla carta: Accorinti, leader del movimento No Ponte, e Piccitto del 5 Stelle, qui però in una versione di alleanze con partiti e liste civiche e non di splendido isolamento. Ce n’è abbastanza, con l’elezione di Bianco a Catania [l’unica che certifica l’esistenza di un “metodo Crocetta”, sconfessato ovunque, di cui tanto si parlò quando Bersani era alle prese con la possibilità di formare un qualche governo], anche lui di certo un politico navigato e anche lui, come Crocetta e Orlando, figura personalissima — non saranno rose e fiori, il dialogo e la collaborazione tra i tre —, per parlare di un terremoto politico. La Sicilia era la regione del trionfo berlusconiano del 61 a 0 nelle elezioni del 2001, e quella che ancora nelle elezioni politiche del 2013 ha consentito al centrodestra, con il 36,4 per cento, di impedire la maggioranza al Senato per il Pd provocando così lo “stallo” e le larghe intese. È cioè la regione dove è morto il berlusconismo — qualunque cosa questo significhi e abbia significato — ma resiste il partito di Berlusconi, che raccoglie, da solo, il 26,4.
Forse è meglio attenersi ai numeri, anche se possono sembrare noiosi rispetto ai reportage sul professore–santone che entra in Municipio a piedi scalzi [Accorinti] o sul giovane ingegnere elettronico che progetta circuiti integrati e è in sintonia con le parrocchie [Piccitto]. Anzitutto, va registrato alle ultime Comunali un enorme calo dell’affluenza ai ballottaggi che invece al primo turno era stata alta in modo anomalo. Va pure detto che la Sicilia era stato il primo territorio elettorale dove alle Regionali del 2012 uno su due — anche di più in verità, l’astensione era stata al 62,6 per cento — non era andato a votare, proprio nelle elezioni che hanno visto Crocetta trionfare [poi vennero il Friuli, Roma e il resto].
Provo a snocciolare i dati di Messina e Ragusa, perché, oltre al fatto che le città più grandi sembrano muoversi forse per la complessità della loro gestione verso candidati più “convenzionali” e “affidabili” e quelle più piccole sono più disposte alla sperimentazione, c’è una similitudine importante: in entrambi i casi, lo scontro al ballottaggio è stato tra un candidato “civico” e un’alleanza di centrosinistra. Al ballottaggio a Messina per l’elezione del sindaco l’affluenza è stata solo del 45,8 scendendo dal 70,2 del primo turno; a Ragusa, l’affluenza al ballottaggio è stata del 49,1 scendendo dal 63,5 registrato al primo turno. I dati del primo turno, in chiara controtendenza, si sono invece riallineati al political divide nazionale: uno su due non vota, neppure a Messina e Ragusa. Comunque, alle Regionali, l’astensione a Messina era stata al 48,7 per cento, mentre a Ragusa al 50,2, in linea con la tendenza dell’isola. Alle Politiche, invece, gli astenuti erano al 32,8 e a Ragusa al 31,6; insomma, sia a Messina che a Ragusa la partecipazione alle elezioni politiche era stata davvero alta, e forse qui sta la spiegazione di quel 36,4 per cento isolano del PdL.
Vediamo i voti e le percentuali per le due stratosferiche “rimonte” di Accorinti e Piccitto. Accorinti aveva raccolto al primo turno il 23,88 per cento dei votanti, cioè 19.540 voti; quello che sarà il suo avversario al ballottaggio, Calabrò, con un’alleanza di centrosinistra intorno al Pd, ne raccolse 40.870 [e non divenne sindaco solo per 50 voti]. Piccitto a Ragusa prese al primo turno il 15,64 per cento dei votanti, ovvero 4.732 voti, mentre quello che sarebbe stato il suo avversario al ballottaggio, Cosentini, con un’alleanza di centrosinistra intorno al Pd, ne prese 8.877.
Nonostante l’enorme distanza tra i due candidati, ai ballottaggi i numeri si rovesciano: Accorinti prende 47.866 voti, cioè qualcosa come 28.000 voti in più, mentre il suo avversario, Calabrò, ne prende solo 43.017, comunque tremila in più di quelli presi al primo turno, quindi senza emorragia, il suo elettorato di centrosinistra resiste. Piccitto prede al ballottaggio 20.720 voti, cioè qualcosa come 15.000 voti in più di quelli del primo turno, e il suo avversario ne prende solo 9.156, comunque più di quelli raccolti al primo turno, quindi senza emorragia, il suo elettorato di centrosinistra resiste. Dove ha pescato i suoi voti Accorinti, a parte una probabile confluenza di liste civiche minori, considerando che c’è stato un crollo di affluenza [attribuibile perlopiù al centrodestra, che al primo turno aveva preso il 18,49 per cento, ancora meno comunque del 25 per cento dei voti che mancano al ballottaggio] e che il suo avversario di centrosinistra ha non solo mantenuto ma aumentato anche se di poco i suoi? E dove li ha pescati Piccitto, a parte una probabile confluenza di liste civiche minori, considerando che c’è stato un crollo di affluenza [attribuibile perlopiù al centrodestra, che al primo turno aveva preso il 15,05 per cento, all’incirca i voti che mancano al ballottaggio] e che il suo avversario di centrosinistra ha non solo mantenuto ma aumentato anche se di poco i suoi? Forse una fetta dell’astensionismo del primo turno ha deciso di scendere in campo, rimpiazzata da una fetta di elettori senza più riferimento: sarebbe interessante potere comprovare questo dato, perché confermerebbe l’ipotesi di un astensionismo “votante”, che cioè utilizza il proprio comportamento di assenza dalle urne per influenzare i risultati. C’è ancora un dato comune: in entrambi i casi, il centrosinistra non riesce a allargare significativamente la propria platea elettorale; è come se ci fosse un plafond oltre il quale il centrosinistra non riesce a andare. E questo, però, è proprio un dato “nazionale”, quello che arrovella una parte del Pd e gli fa credere o sperare che Matteo Renzi potrebbe essere la carta da giocare per raggiungere un elettorato distante o indifferente, mentre un’altra parte continua a ragionare in termini di alleanze e a sperare nel crollo del PdL o nella riconquista del voto che è andato al M5S. Quello che potrebbe fare Renzi non è verificabile, ma il ragionamento delle alleanze e del crollo del PdL sembra verificato come falso.
A queste variabili non proprio indipendenti siciliane, c’è da aggiungere il risultato del Movimento 5 Stelle, che alle Regionali del 2012 fece il suo primo vero exploit [il 14,9 per cento la lista e il 18,2 il candidato Cancelleri], mandando una nutrita pattuglia in Consiglio. Alle Regionali, a Messina il M5S aveva preso il 12 per cento, facendo però un impressionante balzo alle Politiche, raggiungendo il 25,7 per cento. Alle elezioni per il sindaco, invece il 5S si blocca a un numero piccolo piccolo, qualcosa intorno al 2 per cento. A Ragusa, invece, i risultati del 5S erano stati più clamorosi: alle Regionali aveva raccolto il 25,5 per cento, e alle Politiche ben il 39,3 per cento. Si può dire che la candidatura di Piccitto, insomma, non cadesse proprio dal cielo, e è stato abile a “tenere insieme” questo bacino elettorale, probabilmente anche per l’apertura a partiti e liste civiche, mentre invece lo stesso non è successo a Messina, forse per una candidatura “debole” del 5S o invece perché, e questo è significativo, la candidatura di Accorinti era tematicamente forte e in parte affine — battendosi contro i poteri che da decenni governano la città — e è riuscita a attrarre quell’elettorato, che non solo lo ha appoggiato al primo turno, disertando il 5S, ma quel residuo raccolto dal 5S si è anche riversato su di lui nel ballottaggio, come buona parte dei voti delle liste civiche indipendenti.
Ci sono dei risultati che possono far parlare di un “laboratorio siciliano” per un verso e che per un altro hanno una validità e un significato nazionali? Beh, vedete voi, io i numeri li ho messi assieme, e per la verità, qui e là, qualche considerazione l’ho pure fatta.

Catanzaro Lido, 29 giugno 2013

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