I lacrimogeni non sono come i salmoni che risalgono il fiume controcorrente e non si arrampicano per i muri dei palazzi dei ministeri. Certo, siamo il paese in cui un uomo gettato dalla finestra di una questura cadde «per malore attivo» e questa controversa capacità linguistica è considerata probabilmente il fondamento della nostra civiltà giuridica. Ma forse varrebbe la pena, in questo momento, che i ministri della Giustizia e dell’Interno adottassero la “regola Grillo” impedendo ai loro uomini – questori, responsabili di piazza, rappresentanti sindacali, quant’altri – di andare ai talk show e dirci un cumulo di fregnacce. Il buon senso dice che quando s’ingarbugliano le spiegazioni su quello che è sotto ogni evidenza una cosa indifendibile le toppe sono peggiori del buco: qui c’è una voragine e non ci sono toppe bastevoli.
Forse non mettiamo a fuoco precisamente la questione: qui non si tratta solo di sapere esattamente se qualche forsennato poliziotto sia entrato al ministero di via Arenula con la complicità o l’assenso forzato o l’arrendevolezza degli addetti alla sicurezza oppure se qualcuno degli agenti penitenziari lì comandati abbia ritenuto di dare una mano all’ordine repubblicano scovando in qualche sgabuzzino vecchi ma sempre buoni arnesi da lanciare sui manifestanti; e qui non si tratta neppure solo di individuare questo o quel responsabile che si è lasciato andare interpretando estensivamente a modo proprio la regola del difendersi quando aggrediti, pestando e massacrando i primi ragazzini che gli capitassero tra le mani e i piedi. Certo, dopo Genova abbiamo il diritto di sapere esattamente cosa è accaduto. Dopo Genova lo spread tra la “tutela” della nostra democrazia e le regole della democrazia non si è più colmato. Temo anzi, a guardare le immagini che arrivano dalle altre piazze d’Europa, che si sia fatto scuola. Forse tenendo a bada la protesta e la piazza saremo pure in grado di recuperare qualche punto di debito pubblico ma se il prezzo da pagare è l’abuso e il pestaggio perpetrati con regolarità e impunità, qualcosa si è guastato irrimediabilmente.
Io credo il punto sia questo: un governo tecnico è un governo transitorio, e un ministro tecnico è un ministro transitorio. La sua “presa” sull’apparato che dovrebbe guidare e controllare e far funzionare secondo la propria determinazione è minima, mentre la resistenza inerziale dell’apparato è massima. Circolari, dichiarazioni, meeting, visite, ispezioni, tutto questo lascia il tempo che trova, non arriva neppure nei corpi intermedi, figurarsi in basso, lì dove poi le cose accadono e si fanno. Il punto perciò è questo: siamo in un momento in cui la “guida politica” degli apparati dei ministeri di Giustizia e dell’Interno è prossima allo zero. Tra poco, la signora Severino tornerà al suo studio professionale e la signora Cancellieri rifletterà come e se proseguire la sua carriera pubblica da qualche parte. E il momento in cui siamo è invece di estrema delicatezza politica, dove sarebbe più che mai necessario – proprio per la crisi e i conflitti che ha innescato e che continueranno – una “guida politica” forte, autorevole, capace di comandare nei dettagli e di farsi rispettare nei dettagli. Le cose all’ingrosso vanno bene per il professor Monti e le sue carabattole teoriche di macroeconomia, ma la piazza è diventata un affare politico quotidiano. L’impressione – o magari solo il timore – è invece che i corpi di polizia dello Stato cerchino regole al proprio interno, nella propria catena di comando, rispondano alle logiche di corpo piuttosto che a quelle della società politica e giuridica. D’altronde, dov’è la società politica? Non stiamo, tutti, vivendo la sensazione di una clamorosa assenza per non dire di una voragine? Solo che le “questioni” che deve affrontare un qualunque funzionario dello Stato o del parastato non hanno minimamente l’impatto delle “questioni” che deve affrontare chi è responsabile di quanto accade nelle piazze in conflitto. È qui che si gioca la tenuta del paese in questo momento. È in questo momento che è più che mai necessario capire cosa è successo il 14 novembre, intervenire, non mettere sotto il tappeto ma portare alla consapevolezza pubblica: se questo non accadesse, le logiche di corpo prevarranno – primarie o non primarie, election day o meno, Monti bis o no – e finiranno con il sentirsi sempre più investite di una supposta responsabilità, con l’incistarsi di una rivalsa dell’ordine del manganello.
E al contrario di una richiesta di vostre dimissioni – come può pensarsi adesso una cosa simile? –, io vi chiedo di prendevi tutto il vostro “potere politico”, e di esercitarlo. Esercitatelo nei ministeri e nelle caserme: dobbiamo sapere nel minimo dettaglio chi, come, quando, dove. Non sarà un compito facile ma è l’unico compito del momento. L’unico compito che adesso l’Italia dovrebbe essere chiamata a svolgere, perché ne va della sua democrazia. Perché davvero «l’Europa ci guarda». Non abbiamo che voi, il mondo politico è già tutto preso dalle sue logichette, dai suoi conticini. Voi ne siete fuori. È la vostra forza. Avete la possibilità di non rendere quanto accaduto il 14 novembre una bagattella da Cicchitto e Gasparri, roba da politicastri che non capiscono neppure la gravità del momento e dell’ora, e continuano la gag di una commedia che è già finita da un pezzo.
Quest’anno, tra i temi degli esami di maturità è stato chiesto – lodevolmente, aggiungo – ai candidati di commentare la frase di Paul Nizan, scritta mentre l’Europa entrava in una tempesta che l’avrebbe stravolta per sempre: «Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita». Chissà come dev’essere oggi in Europa avere sedici anni, come deve sentirsi oggi in Europa, a Lisbona a Madrid a Roma, dopo le mattanze del 14 novembre, giorno del primo sciopero generale europeo, un ragazzo di sedici anni che ha visto spaccare i denti, trascinare per i piedi, tenere a terra e pestare migliaia di coloro che potrebbero essere suoi compagni di classe che, come lui, avevano avuto l’entusiasmo – forse la prima volta – di scendere in piazza. Di rendere una cosa viva, comprensibile, vicina, amica l’Europa.
Ministri Cancellieri e Severino, questi ragazzi sono l’Europa di domani. Noi – parlo per me e per quelli della mia età, che è pure la vostra – abbiamo già visto tutto e il suo contrario, abbiamo sedimentato un cinismo forse necessario anche se un po’ triste. Forse c’è qualcosa là fuori, dico nel mondo, cui non possiamo porre rimedio. Però, a casa nostra dovremmo sempre provarci.
Nicotera, 17 novembre 2012