L’accelerazione chiesta dal ministro del Lavoro alle controparti sociali, sindacati e Confindustria – che ha trovata impreparata la Marcegaglia – e cioè: entro il 23 marzo s’ha da chiudere sta vicenda del mercato del lavoro, risponde, certo, alla road map di Monti che deve mostrare in Europa quanto si stia andando avanti sullo snellimento dei licenziamenti, vera e unica richiesta di Bruxelles a patto del salvataggio-Italia con i soldi della Bce, ma si giova anche delle incertezze e delle preoccupazioni di Bersani. Il governo, Bersani lo sa, è deciso, se la trattativa non arriva a un punto condiviso, a presentare comunque un progetto di legge entro marzo: per come stanno adesso le cose, il Pdl è pronto a rivendicare l’azione del ministro attuale come una continuazione del percorso iniziato da Maurizio Sacconi. E questo proprio Bersani non può permetterlo, di mettere la propria faccia sotto una modifica delle leggi sul lavoro che venga acclamato dal Pdl come continuità di Berlusconi, già Berlusconi lo sta facendo a iosa.
Così, Bersani ha posto come linea invalicabile la difesa contro la discriminazione dell’articolo 18. E ci sono tutte le condizioni perché questa posizione sia condivisa dalla Fornero. L’articolo 18, per quello che in queste ore si riesce a capire dalle dichiarazioni del ministro e dei sindacati, non avrà più valore “economico”, non difenderà perciò il lavoratore nel caso in cui l’azienda volesse ricorrervi per la crisi in cui versa o per la contrazione del mercato di riferimento. E a questo serve la riforma degli ammortizzatori sociali, a creare dei cuscinetti che attutiscano la fuoriuscita dalle aziende, cioè i licenziamenti.
L’assoluta vaghezza sul reperimento delle risorse e per i progetti di diffusione del contratto di apprendistato e per i supplementi di spesa relativi agli ammortizzatori sociali, così come sull’obbiettivo di «ridurre la disoccupazione al 4/5 percento» – una cifra che neanche la più florida delle economie ha mai raggiunto, e che dovrebbe essere la soglia della disoccupazione inevitabile, tutte cose che ormai, con l’assoluta aleatorietà delle rilevazioni statistiche su lavoro e disoccupazione e non-occupazione e non-ricerca di occupazione sono manipolabili senza tema di smentita, perché sono interpretazioni – cela in realtà la manovra politica in atto. E la manovra politica in atto ha un nome: Bersani.
Che le modifiche sul mercato del lavoro verranno attaccate dall’Idv e da Sel, per Bersani è un fatto scontato e, tutto sommato, neppure troppo nefasto. Il problema, per Bersani, è non ritrovarsi nella tenaglia fra Monti e Casini e il Pdl che marciano tutti assieme verso la “modernità” delle liberalizzazioni europee, relegandolo e costringendolo a un ruolo di opposizione che non ha alcuna intenzione di interpretare. Lui, poi, l’uomo delle lenzuolate. Piuttosto, si prova a intervenire per attutire alcune delle decisioni più drastiche e poter così anche lui rivendicare la soluzione e la proposta che si verranno a determinare. La sospensione chiesta dalla Fornero tempo fa – passata per il reperimento delle risorse, che però ancora non è addivenuto a alcun risultato concreto – è in realtà la sospensione chiesta da Bersani.
In questa partita, che Bersani sta giocando all’interno del proprio partito e del proprio schieramento e ha cercato di spostare su Rai e giustizia per prendere tempo o per dislocare altrove l’attenzione o anche grattare qualcosa da presentare come scalpo ai suoi e che è stata subito stoppata da Alfano, quelli che non sanno proprio che pesci pigliare sono i sindacati.
Mandati in prima linea a trattare, ma con la consapevolezza – basta ricordare le allusioni ironiche di Bonanni quando Repubblica insistette sugli incontri segreti della Camusso con Monti ma anche la sua insistenza a non lasciare al palo la Cgil, ovvero a dare qualcosa a Bersani, ma anche l’uscita inopinata, se non per l’esplicitazione di un “patto”, della Camusso sul Tav – che quello che possono fare loro è lavorare sui dettagli [la mobilità, la cassa integrazione straordinaria, a esempio], perché la partita vera sulla riforma del mercato del lavoro è tra i partiti, e sta scontando l’indeterminatezza e la debolezza del Pd.
La controriforma – andrebbe chiamata così, senza neanche troppo allusività religiosa – si farà, e si farà entro marzo, perché poi i partiti dovranno dedicarsi alle amministrative. E lì dovranno pure rivendicarsela. Ciascuno tirandola per sé, a seconda dei dettagli che i sindacati riusciranno a introdurre. Tanto, andrà a regime nel 2015.
Da qui a allora, si intensificheranno le cause di lavoro, per la corretta interpretazione del testo di legge, c’è da scommetterlo.
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