Melfi: men not at work, qui non si lavora

Il telegramma con cui si comunica ai tre operai di Melfi, reintegrati dalla sentenza di un giudice del tribunale di Potenza nel loro posto di lavoro per comportamento antisindacale della Fiat, che «l’azienda non intende più avvalersi delle vostre prestazioni lavorative» – impedendone nei fatti al momento l’accesso in fabbrica, a costo di provvedere loro comunque stipendio e arretrati – ha scatenato un putiferio di commenti nei siti che hanno riportato la notizia. Parlo di quella miriade di blog “civici” – territoriali, regionali, piccole testate, personali, di informazione generica dove la ricetta del tiramisù è mescolata e triturata insieme all’ultima nota del presidente del Consiglio o al pareggio fuori casa della squadra di Civituzza di sotto – dove ormai si riversa il bar dello sport degli italiani.
C’è chi lo brandisce, manco fosse il bollettino della Vittoria di Armando Diaz con cui si comunicava che: «i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza»; dopo la Caporetto della sentenza, il generale Marchionne ha riorganizzato le forze, posto una linea di resistenza invalicabile e va all’attacco. Si sprecano qui le considerazioni contro gli operai «fannulloni e fancazzisti e sabotatori» che invece di baciare la terra aziendale dove camminano osano scioperare, impedire agli altri uomini di buona volontà di lavorare, e insistere con crudele spietatezza e cinica determinazione a mettere i bastoni fra le ruote al luminoso progresso garantito dal dottor Marchionne. Va da sé, da questa pancia gonfia di livore si dipartono pure rumorose scorregge come salve di accoglienza per il manager – un patriota! –, poco meno che un santo condottiero.
E c’è, al contrario, chi addita il telegramma come parola del demonio, l’evidenza dello zoccolo caprino ben mascherato da chi indossa morbidi pulloverini di cashmere ma porta in corpo la feroce possessione dell’autoritarismo, del dispotismo. Eccolo, il vero obiettivo di tutta sta manfrina sull’articolo 18 – benedetti siano i santi che ce l’hanno donato: fare strame di chi lavora, di chi si organizza per chiedere diritti, di chi continua a pensare e parlare.
In questa guerra di trincea di commenti, ovviamente, noi stiamo dalla parte di questi secondi e dei tre operai di Melfi.
Il telegramma però a noi dice qualcosa d’altro – oltre quanto viene già indicato da quella che consideriamo la “nostra” parte. E cioè che si possa fare a meno del lavoro operaio. Che si possano, cioè, pagare degli operai non per stare in fabbrica ma per stare a casa. Che si possa, quindi, corrispondere un reddito non per produrre ma per esistere. È una situazione “eccezionale” d’accordo, e solo manifestata dalla determinazione di Marchionne – come già per il contratto di Pomigliano – di far capire chi comanda, senza possibilità di contrattazione. Tre stipendi agratisse non manderanno in fallimento la Fiat, che tanto di guai ne ha ben altri – una produzione che continua a calare perché i modelli proposti non sono convincenti, quote di mercato che continuano a scendere. È il principio. Questo stesso “principio” però potrebbe, rovesciandone il senso, essere rivendicato dai lavoratori. Basta con la cassa integrazione e gli ammortizzatori sociali, vero; dateci lo stipendio intero [sugli arretrati si può transigere], che sia necessario venire in fabbrica a produrre o meno. Dateci un anno sabbatico, a gruppi di tre, di quindici, di cento, di mille: per tirare avanti la fabbrica ci pensa chi rimane, e poi a rotazione. E poi si ricomincia.
Dovrebbe ormai essere chiaro che l’automobile è un “derivato finanziario” e che con il suo prezzo poco c’entri il costo del lavoro. Il prezzo, il valore di un’auto, di una merce, è ormai una “variabile indipendente” dai suoi costi. Un paio di infradito Dolce e Gabbana erano esposte quest’estate a 180 [centottanta] euro. E vabbè che ci sarà tanta creatività e tanta promozione, epperò, eccheccazzo, stiamo parlando di un pezzo di gomma con tre buchi. A mezzo di un salario garantito, gli operai – ma perché solo gli operai Fiat? tutti i lavoratori, quelli che un posto ce l’hanno e quelli che lo vorrebbero – potrebbero partecipare a corsi di formazione, svolgere attività sociale dentro la fabbrica, dove stanno i loro amici, o anche fuori, nei loro quartieri, nelle città. Produrre pure, quando serve, se serve. Per quel che serve.
Se poi c’è proprio chi muore dalla voglia di andare sotto Marchionne, ci vada.
Vorrei proprio vederli, vorrei, quelli che sparano alzo zero sui «fannulloni» se davvero passasse una norma di civiltà per la quale per corrispondere un reddito, un salario – chi? Lo Stato, Confindustria – non è proprio necessario «avvalersi di prestazione lavorativa», se non si metterebbero in fila anche loro.
Visto che a occhio e croce è difficile aspettarsela, questa norma, da politici e tecnici, non ci resta che sperare nei giudici e nella Corte costituzionale.
Oh, è una battuta.

Questa voce è stata pubblicata in politiche e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...