Il viaggio di Zelenski in Usa.

«Ukraine is alive and kicking – l’Ucraina è viva e vegeta», dice Zelenski al congresso americano, dove in molti indossano un vestito blu o un accessorio giallo, per omaggiare la bandiera ucraina e questa inattesa resistenza. Lui è in felpa militare, con i pantaloni cargo – un leader politico che mostra a tutti di essere oggi un soldato, ovunque, in una guerra che nessuno al mondo avrebbe voluto.
Non era difficile prevedere che qualcuno (fox news) avrebbe alzato il sopracciglio e irriso la sua “immagine” o il suo carattere da “spettacolo”. Ma Zelenski, inevitabilmente, è andato in America per “mostrare” ai politici – a quelli che devono decidere se continuare a sostenerlo e come, con quali armi e quanti denari – che c’è una guerra vera, e è grazie al loro sostegno che l’Ucraina is alive and kicking. In tanti sensi, quella felpa militare e quei pantaloni cargo – avrebbe potuto benissimo cambiarsi nel lungo viaggio – sono anche un segno di rispetto per le decisioni americane. Quelle fatte finora e quelle a venire – la guerra sarà lunga: fosse andato in abito due bottoni, una grisaglia – cosa avremmo pensato?
Quasi nelle stesse ore, Putin ha riunito i vertici della difesa per fissare gli obiettivi militari del 2023 e ha annunciato l’entrata in servizio all’inizio di gennaio di due nuovi missili, gli ipersonici Zircon e gli intercontinentali Sarmat. Non ha lesinato promesse sugli investimenti e il sostegno militare all’esercito (e alla marina) e ha chiamato a una mobilitazione maggiore, fino a un milione e mezzo di soldati. Medvedev intanto è volato in Cina per rafforzare il patto strategico con Xi – che fa il pesce in barile parlando di sforzi diplomatici ma assicura “commercio” ai russi e si illude di sfiancare l’America per avere mano libera su Taiwan – e lo zar ha fatto i suoi convenevoli abbracci con Lukashenko, come se magari dalla Bielorussia potesse di nuovo aprirsi un attacco. Putin sta mettendo in campo tutta la forza militare che possiede e quella che continuerà a produrre, in una guerra che tende sempre più a somigliare a una infinita battaglia di Verdun.
La guerra è in stallo, sul campo – i mercenari della Wagner e quelli ceceni non conquistano nulla, i russi mandano avanti truppe raccogliticce a farsi massacrare giusto per “tenere caldo” il terreno, si combatte intorno città che sono ormai ridotte a macerie, a pietre spezzate, e la cui “qualità” strategica è pari a zero: come conquistare quota 188 in una delle dodici battaglie dell’Isonzo. Gli ucraini non avanzano. I russi provano a usare l’inverno come arma – distruggendo tutte le infrastrutture possibili, per fiaccare la popolazione civile, ormai, peraltro, vero bersaglio dei loro missili. È un bombardamento del macellaio Harris su Dresda giorno dopo giorno.
Forse, questo viaggio improvviso in America di Zelenski ha anche lo scopo di rincuorare il proprio popolo – oltre che di perorare la sua causa in un congresso dove serpeggia, tra i repubblicani, più di una domanda sulla bontà della scelta di appoggio senza riserve del governo, anche se è difficile credere che un qualunque altro presidente farebbe diversamente.
Non ci fosse stato Biden, non ci fosse stata l’America – oggi non ci sarebbe più l’Ucraina, e questo è innegabile. Forse con un carico di morte anche maggiore di quello che si va scoprendo ogni volta che si riprende una città dove sono passati i russi – e maggiore del prezzo di sangue che stanno pagando con la resistenza. Ma non ci fosse stata l’America, con il sostegno militare adeguato, non sarebbero stati certo i nostri lince a fermare i russi – i tedeschi, fanno, come Xi, i pesci in barile: le avessero, le darebbero le armi, ma non le hanno, epperciò. Se ne può dedurre – da questa risoluta presenza americana che può magari ritirarsi precipitosamente dall’Afghanistan ma non può, per la sua geopolitica, lasciare a Putin il “diritto all’aggressione” – uno schierarsi di principio contro l’Ucraina: è il nocciolo duro del rossobrunismo che campeggia a sinistra. L’Ucraina, nel mondo anti-americano, viene messa tra parentesi, in tutta o in parte. Il disprezzo, il dileggio, l’abuso della “storia”, del novecento (Bandera) o più recente (Minsk, Euromaidan, battaglione Azov), ne sono il contorno giustificativo.
È curioso, in questo sfrontato anti-americanismo, anche il “recupero” dell’europeismo: l’Europa sarebbe costretta, schiacciata dall’intervento americano, a far male a se stessa – con quelle maledette sanzioni che ricadono sul “popolo”. Ma l’unico dato di fatto è che l’Europa può fare poco: non è mai stata una potenza militare, e l’aggressione russa ha rimesso al centro della geopolitica la forza. C’è una asimmetria, inguaribile al momento, tra il “sistema economico europeo” e la sua forza. Una asimmetria politica, prima di tutto.
La guerra perciò sarà ancora lunga, sulla carta; la Russia punta tutto sulla lunga durata, dopo la prima immaginaria guerra-lampo: ha risorse immense, di mezzi e uomini, e un sistema politico dispotico e totalitario che non consente “ripensamenti” (come sarebbe possibile in Usa) – può reggere benissimo, mettiamo, cinque anni di guerra ancora, logorando sistematicamente gli ucraini. Passato questo inverno – potrebbero, gli ucraini, al di là delle inevitabili continue perdite, reggerne ancora un altro? E un altro ancora?
Lunga, perciò, sulla carta. Ma io non credo che a primavera e in estate resterà così. Non è proprio possibile per gli ucraini. E forse più di ogni cosa è di questo che ha paura Putin – della controffensiva ucraina.

23 dicembre 2022.

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