
In un pugno di giorni di maggio, cadono due anniversari memorabili per l’Irlanda del Nord. Il primo: il 3 maggio 1921, un secolo fa, è propriamente la sua costituzione, ovvero l’entrata in vigore del Government of Ireland Act del 1920, l’atto del Parlamento Britannico che divideva l’isola in due: le sei contee di Antrim, Armagh, Down, Fermanagh, Derry e Tyrone rimasero parte del Regno, mentre le restanti ventisei andavano a formare la neonata, e indipendente, Repubblica d’Irlanda (Eire).
E l’altro: il 5 maggio 1981, quarant’anni fa, muore, dopo sessantasei giorni di sciopero della fame Bobby Sands – altri nove membri dell’IRA e dell’INLA moriranno entro agosto per la stessa forma di lotta estrema – mentre era detenuto nel carcere di Long Kesh e poche settimane dopo essere stato eletto a Westminster. E quel braccio di ferro senza trovare un terreno di mediazione che tenne il premier Thatcher, determinata a non riconoscere in alcun modo la condizione di “prigionieri politici”, e quel sacrificio estremo restarono impressi a lungo: «Sono un prigioniero politico. Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra».
Poi, il 10 aprile 1998, Tony Blair e Bertie Ahern, capi dei governi britannico e irlandese, annunciarono a Belfast la firma dei cosiddetti Accordi del Venerdì Santo, con cui si metteva fine delle violenze che avevano segnato per trent’anni la storia del paese, i cosiddetti Troubles. I Troubles furono l’insieme di violenze, attentati e profonde divisioni che dalla fine degli anni Sessanta avevano causato la morte di 3.600 persone in tutta l’Irlanda del Nord. Da una parte, gli unionisti, protestanti e favorevoli alla permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito; e dall’altra i repubblicani, cattolici e favorevoli invece all’unificazione di Irlanda e Irlanda del Nord. In Irlanda del Nord la maggioranza della popolazione era unionista e protestante, mentre i repubblicani erano una minoranza. E questo processo di pace è andato avanti sinora. Cos’è che sta di nuovo infiammando l’Irlanda del Nord?
Due anni fa c’era stato già un momento terribile, quando la giovane giornalista Lyra McKee era stata uccisa da un proiettile vagante sparato contro le forze di polizia, che l’aveva colpita alla testa, mentre lei era “sul campo” a documentare le cose – scontri tra giovani e forze dell’ordine, in un quartiere di Derry – per il proprio lavoro. La New IRA aveva poi ammesso la responsabilità e porto le “proprie scuse”. Ai funerali, il prete si rivolse a tutti i leader politici presenti, che non riuscivano a trovare accordi di governo, e che stavano lì in chiesa l’uno a fianco l’altro: «Ci voleva la morte di una donna di 29 anni, con tutta la vita dinanzi, per arrivare a questo punto? Perché, in nome di Dio?» Poi seguirono una serie di arresti. E gli arrestati avevano dai 20 ai 57 anni: come dire, c’era un passato che non passava.
Ma da marzo di quest’anno gli scontri si sono moltiplicati. «Erano anni che non si vedevano scene del genere a Belfast», ha commentato un funzionario di polizia. Più di 90 gli agenti finora rimasti feriti, e sono stati usati i cannoni a acqua che non si vedevano in giro da un bel pezzo. Gli scontri, inizialmente solo tra polizia e lealisti, si sono poi trasformati in un confronto tra lealisti e indipendentisti, con lancio di mattoni e molotov soprattutto nelle zone della capitale. A Belfast, infatti, i quartieri di protestanti e cattolici sono divisi da barriere di metallo, cemento e filo spinato dette “Pace lines” e i gruppi hanno cominciato a lanciare sassi, petardi e bottiglie incendiare da un lato all’altro di queste barriere. Non soltanto a Belfast: ma a Londonderry, Ballymena, Newtonabbey, Carrickfergus. Spesso di notte. E spesso i più agguerriti sono giovanissimi di 13, 14 anni. Il premier britannico Boris Johnson si è detto «profondamente preoccupato per quanto sta accadendo in Irlanda del Nord: le differenze si appianano con il dialogo, non con la violenza». Condanna dei disordini anche dai governi di Belfast e di Dublino. Tutti i principali partiti dell’Irlanda del Nord hanno chiesto una «fine immediata e completa» delle violenze. Finora sembra con poco costrutto.
È la recente questione della Brexit che ha scombussolato il delicato equilibrio delle cose, ridando fiato alle antiche divisioni. I sostenitori filo-britannici sono rimasti spiazzati per l’accordo, entrato in vigore a gennaio, che la Gran Bretagna ha firmato per lasciare l’Unione Europea, che di fatto indebolisce il legame tra Irlanda del Nord e Regno Unito. Per portare a termine il “divorzio” con l’Unione europea, Boris Johnson ha accettato che l’Irlanda del Nord rimanesse sia nel mercato comune europeo sia nell’unione doganale, con un confine non in terra, ma in mare. Questa formula ha evitato che nascesse una “barriera commerciale” tra le due Irlanda, ma l’ha fatta nascere con il Regno Unito: le merci che dalla Gran Bretagna sono destinate a Belfast devono sottostare a controlli doganali. All’inizio si è anche verificata una drastica penuria di prodotti alimentari nei supermercati. Nei fatti, l’Irlanda del Nord è quasi spinta sempre più a un’unione “reale” con l’Eire, che è il vecchio “sogno repubblicano” di un’unica Irlanda. Ma per gli unionisti è un tradimento. E perciò chiedono che il Protocollo con l’Unione europea sia rivisto o, ancor meglio, cancellato.
Anche il presidente Joe Biden – che vanta origini irlandesi – ha invitato alla calma. Il che vuol dire che la preoccupazione si va allargando a macchia d’olio.
Nicotera, 5 maggio 2021.
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 6 maggio 2021.