Liliana Segre, ancora contro il carcere.

Aveva appena tredici anni, Liliana Segre, quando il 30 gennaio del 1944 fu stipata nel convoglio che dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano portava a Auschwitz. Era stata per quaranta giorni detenuta nel carcere di San Vittore. Il giorno dopo, varcavano il confine. C’era il padre Alberto con lei, e altre seicentotre persone. Solo ventidue sopravvissero.
Il binario 21 era stato utilizzato fino ad allora per i treni del servizio postale: era in una posizione un po’ discosta, fuori dallo sguardo, al di sotto del manto stradale. Con un ascensore, i vagoni venivano poi agganciati al locomotore all’aperto e potevano partire. Nel 1943, il comando nazista decise di convertirlo per la “soluzione finale” degli ebrei: sembrava “perfetto”. Tra il 1943 e il 1945 dal binario 21 partirono ventitré treni diretti ad Auschwitz e ad altri campi di concentramento. Non ci mettevano solo ebrei, i nazisti, in quei treni, ma anche altri perseguitati antifascisti detenuti nel carcere di San Vittore: per gli ebrei la meta era sempre Auschwitz, per gli altri a volte il campo di concentramento di Mathausen-Gulsen in Austria, a volte quello di Bergen-Belsen in Germania. Capitava anche che fossero destinati ai campi italiani, a Bolzano, Verona e Fossoli in Emilia.
Di quei ventitré convogli, il più terribile fu proprio quello che lasciò la stazione di Milano il 30 gennaio 1944. Quando raggiunsero il lager di Auschwitz-Birkenau, 477 di loro vennero subito uccisi nelle camere a gas. Gli altri 128 finirono nel campo di concentramento. Di questi, sopravvissero solo quattordici uomini e otto donne. Tra loro, Liliana Segre, che il 19 gennaio 2018, in occasione del settantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali, è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Mattarella.
Il binario 21 è nel frattempo diventato il Memoriale della Shoah e ogni anno – nell’incontro della Comunità ebraica di Milano con la Comunità di Sant’Egidio – proprio il 30 gennaio vi si celebra una breve cerimonia, a ricordare “tutti quelli che non sono tornati”. C’è un “muro dei nomi”, con l’elenco di tutte le vittime che partirono da lì – ma si sa che furono di più. Più volte, Liliana Segre ha raccontato quei giorni: «Eravamo merci, vitelli destinati al mattatoio». È stata lei a volere con forza la grande scritta “Indifferenza”, e lei più volte è tornata su questo aspetto. Quest’anno ha citato i versi di Primo Levi, deportato come lei ad Auschwitz: «Quando ognuno era ancora un sigillo / Di noi ciascuno reca l’impronta / Dell’amico incontrato per via /In ognuno la traccia di ognuno». E ha spiegato il motivo della scelta: «I versi di Primo Levi sono il contrario dell’indifferenza. Quando ognuno è la traccia di ognuno, non ci può essere indifferenza. L’indifferenza porta alla violenza, è già violenza».
Ricorda il silenzio e l’indifferenza di Milano, la Segre, quando i camion che li portavano al binario 21 attraversavano la città e tutti si voltavano dall’altra parte. Ricorda la violenza dei loro vicini di casa fascisti – quando li arrestarono. Solo i detenuti di San Vittore, dice, mostrarono umanità: «I carcerati vedendoci partire e sapendo che eravamo innocenti ci salutarono lanciandoci quel poco che avevano – arance, mele, qualche sciarpa e soprattutto le loro benedizioni che ci furono di grande conforto e che io ancora oggi ricordo con grande affetto».
È forse in ricordo di questo affetto e di quei suoi quaranta giorni a San Vittore che Segre ha presentato il 17 dicembre scorso una interrogazione parlamentare, assieme ai senatori Loredana De Petris e Gianni Marilotti, chiedendo se il presidente Conte e il ministro Bonafede «non ritengano urgente la predisposizione di un piano vaccinale per detenuti e personale che lavora nelle carceri, e se non si ritiene altresì che, proprio per i rischi congeniti, l’insieme delle persone che vivono e lavorano nelle carceri debbano essere inserite sin dall’inizio fra le categorie con priorità sottoposte alla campagna di vaccinazione».
E il primo giorno di febbraio Liliana Segre è tornata sulla questione della vaccinazione, in un appello lanciato sul quotidiano «la Repubblica» e firmato insieme al Garante dei detenuti, Mauro Palma, chiedendo che «alla doverosa priorità assegnata a coloro che in carcere operano, si affianchi quella per coloro che vi sono detenuti». Segre e Palma sottolineano come non si tratti solo di un “principio di equità”: «È proprio un obbligo, poiché alla privazione della libertà dei custoditi fa riscontro la responsabilità per il loro benessere di chi esercita il diritto-dovere di custodirli, cioè dello Stato».
Le notizie che arrivano dalle carceri non sono confortanti: nel sovraffollamento, nonostante alcune misure prese, dal Pagliarelli di Palermo fino al nord, corre il contagio. Speriamo che le parole della Segre rompano il muro dell’indifferenza.

Nicotera, 2 febbraio 2021.
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 3 febbraio 2021.

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