In paese.

La donna che viene per qualche ora al giorno a stare appresso a mamma, è preoccupata per il suo compagno che ha una piccola impresa edile, insieme con il fratello. Sono bravi lavoratori – li conosco bene perché hanno costruito la casa in cui abito – e mettono in regola i loro operai e fatturano tutto. Ma l’edilizia è tutta ferma, non si può lavorare in cantiere e d’altronde anche i grossisti di materiale edile sono chiusi. Così hanno lasciato gli operai a casa. Lui aveva pensato di sfruttare questo momento per sistemarsi la casa in cui prima o poi si trasferiranno – adesso stanno nella vecchia abitazione della mamma di lui – ma gli hanno detto che non può fare neppure questo, che non può andarsene in giro con la lapa su e giù.
Davanti casa mia ci sono tre negozi – un fioraio, la parrucchiera e un ottico, tutti chiusi. Il fioraio faceva anche il carpentiere e quando trovava un lavoro lasciava la moglie in negozio, ma l’edilizia è ferma e quindi non fa nulla. L’ottico aveva preso il posto ATA al nord e ogni tanto veniva giù e la moglie tirava avanti il negozio anche se l’optometrista è lui – qualche tempo fa avevano anche provato a fare un bed&breakfast ma non ha funzionato; ora, lui è rimasto intrappolato al nord e lei sta a casa. La parrucchiera, non so. Più in su – il bar ha chiuso, il negozio della “signora mille-lire” è aperto ma non c’è nessuno, il fotografo ha chiuso, il bombolaro è aperto: qui ancora resiste l’uso delle bombole – soprattutto tra gli anziani e le case vecchie, per la stufa e spesso anche per la cucina: costa 21 euro una bombola media, da 15 lt, ma credo che il suo margine sia proprio quell’euro, e tu gli dai qualcosa in più per il caffè. Più in giù, la parafarmacia è aperta, ma il proprietario non c’è perché ha problemi fisici e basterebbe un raffreddore a stirarlo, così hanno messo una commessa, non so per quanto. Il bar è chiuso, e le sue ragazze a turnazione che aiutano i fratelli proprietari sono a casa, e il negozio di scarpe è chiuso, la cartoleria-oggetti da regalo è chiusa – e anche qui le due commesse saranno a casa.
Ancora più giù, la pescheria-surgelati ha chiuso e il giovane che da poco aveva aperto non si vede, e è chiusa anche l’altra cartoleria, ma è aperto il negozio di latticini e formaggi – che è un punto-distribuzione, dove lavorano tre ragazze su due turni. Ma Fiore che vendeva all’angolo i cestini che intrecciava lui, non c’è più – e neppure la signora che porta i funghi o i babbaluci che va a prendere lei in campagna quando piove che dio la manda. Nella piazza piccola, il bar ha chiuso e anche un piccolo alimentari e un fotografo. C’è un altro alimentari che funziona da qualche mese che invece è aperto, dove una giovane coppia tira avanti. All’angolo, il negozio di abbigliamento ha chiuso.
Sul corso, ha chiuso il negozio di abbigliamento per i giovani, quello di forniture per la pesca e il gioielliere. Il gioielliere in questi anni è stato bravo, ha investito ristrutturando dei negozi che poi ha affittato: potrebbe adesso tirare avanti con questo reddito, ma i suoi negozi sono tutti chiusi e non so se gli pagano l’affitto.
Nella piazza grande – ha chiuso il bar e il barbiere e resiste il tabacchino; di fronte c’è la farmacia, che fa i turni con un’altra. All’affaccio, ha chiuso il bar più “in”. Nello stradone, è aperto il negozio a franchising di detersivi dove ci lavorano tre ragazzi a turno, ha chiuso la rosticceria, che portava avanti una giovane coppia aprendo solo la sera – avevano fatto un tentativo per il giorno ma non ha funzionato – la pasticceria, che gestivano due ragazze e il negozio di elettrodomestici. Resiste il supermercato e, dirimpetto, il frutta e verdura della “signora sì-sì”, perché qualunque cosa le chiedi se l’abbia, ti risponde sempre così. Ma ha chiuso un altro bar, il barbiere di fronte e l’edicola – che gli hanno intimato di non fare fotocopie (ma la rata del leasing la devo pagare, mi ha detto) o vendere una matita o un quaderno e per quattro giornali preferisce restare a casa, con i due figli. ancora più avanti hanno chiuso due negozi.
Al curvone che porta fuori paese, ha chiuso il negozio di pelletteria e profumi, l’altro negozio di “tutte cose” e l’altro fioraio e lo studio del pediatra – resiste il macellaio che ha la carne proprio buona e ci lavorano anche i due figli. Più giù ha chiuso il ferramenta.
In paese non gira più nessuno, e “i lavoretti” non possono essere fatti: andare nei campi a potare e concimare, dipingere facciate e balconi, trasportare cose, riparare un tubo che è scoppiato dentro un muro o un impianto elettrico che è saltato – tutto a nero, tutto in evasione. Il mercato della domenica quando vengono gli ambulanti che gli altri giorni vanno negli altri paesi del circondario e ti portano vestiti e mutande e piatti e padelle, o i neri che ti vendono la custodia dei cellulari e le borse finte o i bangla che hanno collanine e perline, e ci sono tanti banchi della frutta e della verdura e dei formaggi e di satizzi e nduja – niente.
Qui, se e quando passerà l’epidemia, sarà rimasto il resto di niente.

Nicotera, 23 marzo 2020.

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