Cinque argentini in gita a New York per festeggiare dopo trent’anni una rimpatriata, un belga travolto con loro e due newyorkesi colpiti da attacco di cuore e morti dopo in ospedale, e undici feriti: è questo il bilancio della corsa lunga un miglio del furgone preso in affitto e lanciato a tutta velocità sulla pista ciclabile che corre lungo l’Hudson, nel quartiere di Tribeca. Il furgone era guidato da un immigrato di ventinove anni, Sayfullo Saipov, che veniva da Tashkent, capitale dell’Uzbekistan, entrato negli Stati uniti nel 2010, e che di mestiere faceva adesso l’autista di Uber, dopo essere stato autista di camion. Sposato, con tre figli, viveva a Paterson, New Jersey, dopo essere stato in Ohio e Florida. Mai nessuna indagine su di lui. Le persone che lo hanno conosciuto, immediatamente contattate da polizia e Fbi, ricostruiscono il profilo di un giovane qualunque e per nulla fanatico. «He liked the U.S. He seemed very lucky, and all the time he was happy and talking like everything is O.K. / gli piacevano gli Stati uniti, e tutto il tempo non faceva che ripetere come ogni cosa fosse ok, si sentiva davvero fortunato». Saipov, che è stato ferito da un agente dopo che aveva sbattuto il furgone contro uno scuolabus e cercava di fuggire brandendo due armi, che poi si sono rivelate una sparachiodi e una spara-inchiostro, urlava «Allah u Akbar». Nel furgone è stato trovato materiale che inneggiava all’Isis che, d’altronde, festeggia dai suoi siti. Se ha abbracciato il fanatismo fondamentalista, dev’essere successo da poco. Dentro gli Stati uniti.
È il più grave attentato a New York dopo l’11 settembre. Era Halloween e la gente si è comunque riversata per strade e piazze e locali – incoraggiata anche dalle parole del sindaco de Blasio e del governatore Cuomo che hanno sottolineato come sospendere o modificare il proprio stile di vita significherebbe arrendersi al terrorismo. Nonostante le agenzie governative in questi anni abbiano più volte ripetuto di avere intercettato e sventato una notevole quantità di attacchi programmati o anche solo ipotizzati, di certo c’è di nuovo paura a New York.
Fortunato, Saipov lo era stato davvero. Aveva “pescato” la mitica green card – ovvero la Permanent Resident Card, un’autorizzazione rilasciata dalle autorità degli Stati Uniti che consente a uno straniero di risiedere sul suolo americano per un periodo di tempo illimitato – attraverso il Diversity Visa Lottery Program, varato nel 1990, presidente George Bush, che serve a compensare le quote programmate di immigrazione guardando a quelle nazionalità e etnicità meno rappresentative numericamente, come appunto gli uzbeki, fissando un tetto di cinquantamila ingressi l’anno. Saipov era uno dei cinquantamila del 2010.
Trump, che ha più volte proposto una sorta di Muslim Ban, un bando all’ingresso di musulmani che le Corti hanno rigettato per l’evidente incostituzionalità, non ha trovato di meglio dopo l’attentato che scagliarsi contro il Diversity Visa Lottery e il suo primo firmatario, il senatore democratico per lo Stato di New York Chuck Schumer. Va detto non solo che comunque l’Uzbekistan non era nell’elenco di “Stati canaglia” della proposta di bando all’immigrazione voluta da Trump, ma che è sembrato a tutti insolito il suo frenetico cinguettare immediatamente a ridosso della strage di Tribeca, quando proprio in occasione della recente strage di Las Vegas – dove un uomo che aveva messo assieme letteralmente un arsenale di armi micidiali, regolarmente acquistate, ha ucciso cinquantotto persone e ferito centinaia – aveva invitato tutti a pregare e consolare. «This is an unspeakable tragedy. Today is a day for consoling of survivors and mourning those we lost / è una tragedia indescrivibile / Oggi è giorno per consolare i sopravvissuti e piangere chi abbiamo perduto», furono le parole di Sarah Huckabee Sanders, capo ufficio stampa della Casa Bianca. Ci sarà tempo e luogo per un dibattito politico, ma ora è il momento di unire il paese, disse ancora. Ma di un tempo e un luogo per un dibattito politico sulla legge delle armi non si è mai trovato modo.
Sull’uzbeko Sayfullo Saipov, Trump invece s’è scatenato. Questo non è giorno per consolare i sopravvissuti e piangere chi abbiamo perduto. Questo non è giorno per unire il paese. Trump non è certo forte in geografia e a mala pena saprebbe indicare dove si trova l’Uzbekistan – in uno dei suoi tweet ha scritto: «Senator Chuck Schumer helping to import Europes problems. We will stop this craziness! / il senatore Schumer aiuta a importare i problemi europei, fermeremo questa pazzia». Europei? L’Uzbekistan sta tra la Moldavia e la Bulgaria? Tra il Liechtenstein e la Svizzera? Il senatore Schumer gli ha prontamente risposto invitandolo soprattutto a non tagliare i fondi antiterrorismo. Ma in un momento di grave difficoltà di immagine per via della lunga lista di suoi collaboratori e familiari che hanno in qualche modo intrattenuto relazioni d’affari o di scambio di opinioni con il “nemico” russo, ci marcia con questa storia dell’uzbeko. E rilancia, provando a spaccare quel fronte di opposizione che continua a bocciargli le sue “riforme” e vede schierati non solo i democratici ma diversi uomini del suo partito repubblicano. Il Muslim ban deve sembrargli lo strumento adatto per recuperare anche nell’opinione pubblica.
«NOT in the USA», è un altro dei suoi tweet.
Che vadano a fottersi tutti gli altri. Se questa è la traduzione del suo slogan in campagna elettorale «America First», stiamo freschi.
Nicotera, 1 novembre 2017.
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 2 novembre 2017.