Strage a Las Vegas: inferno americano.

«Non è terrorismo», dice lo sceriffo Joe Lombardo di Las Vegas. Almeno, non a questo livello delle indagini. «We believe it was a local individual / crediamo sia un solitario». Un lupo solitario. Come se questo possa tranquillizzarci, come se sapere che Stephen Paddock, 64 anni, di Mesquite, Nevada, non è un affiliato dell’Isis possa farci tirare un sospiro di sollievo.
Delle ultime tre stragi con decine di morti – ormai è un doloroso conteggio in un’escalation – gli autori sono tutti “local individual”. Lo era Omar Mateen, che il 2 giugno 2016 ha ucciso quarantanove persone e ne ha ferito una cinquantina in un locale gay di Orlando, Florida; lo era Seung-Hui Cho, 23 anni, che il 16 aprile 2007 ha ucciso trentadue persone nel campus dell’Università di Virginia Tech a Blacksburg, Virginia; lo era Adam Lanza, ventenne, che il 14 dicembre 2012 entra nella scuola elementare di Sandy Hook a Newtown, Connecticut, e apre il fuoco uccidendo ventisette persone, fra cui venti bambini.
Anche se Mateen urlava Allah u Akbar mentre continuava a sparare e aveva una corrispondenza fitta di deliri islamisti con qualcuno all’altro capo di internet, era un lupo solitario, non operava in cellule, non si era affiliato a nulla. Avrebbe potuto gridare Viva i Predators, la squadra di football di Orlando, e le cose non sarebbero cambiate poi granché.
Mettiamo avanti quello che conosciamo, quello che è possibile ricostruire, provando a porre un argine a quello che rimane oscuro, intraducibile. «Dev’essere successo qualcosa – dice Eric, il fratello di Paddock – era uno normale». Qualcuno che colleziona armi automatiche micidiali come fossero figurine Panini tanto normale non dovrebbe essere. E se hai tante armi, può succedere che prima o poi le usi, e se le usi fai stragi, mentre se hai tante figurine Panini può succedere solo che te le giochi tutte alla bocciofila di Mesquite, Nevada. Ma questa ovvietà non sembra trovare albergo nei cuori degli americani che continuano a tenersi le loro leggi sull’acquisto e il possesso di armi e non ne vogliono sapere di cambiarle. Anche solo di mettere dei paletti, tipo avere un’anagrafe che impedisca di venderle come fossero canne da pesca a persone con disturbi psichici o precedenti penali, niente.
E d’altronde Paddock era uno “normale”: «Non abbiamo molto su Paddock. Abitava nella nostra città, ma non abbiamo avuto alcun contatto con lui, in passato», ha spiegato Quinn Averett, portavoce del dipartimento di polizia locale di Mesquite. Non c’è nulla di nulla nella banca dati della polizia: nessun arresto, nessun esposto contro di lui, nemmeno una multa stradale. Mesquite è una tranquilla città di circa ventimila abitanti, un posto di «pensionati e golfisti»: Paddock forse era l’uno e l’altro. Ci fosse pure una legge un po’ limitativa sull’acquisto di armi, lui avrebbe potuto comprarle tranquillamente come mazze da golf.
L’idea perciò è quella: vai dove c’è un incontro di massa, un meeting, un concerto, e ti metti a sparare. Una volta salivano sui grattacieli, in America, con un fucile e sparavano verso giù, sulla folla: ma anche se eri un buon cecchino militare o da ragazzo avevi tirato ai conigli nella fattoria di papà, non morivano come mosche, dovevi prendere la mira, ricaricare, puntare. Ora neanche prendono la mira: mettono la leva su automatico e quelle sparano. I proiettili micidiali fanno il resto, verso un mucchio diventa una carneficina. D’altra parte è la “logica” della strage al Bataclan o quella che si preparava allo stadio; è la “logica” della strage di Manchester al concerto di Ariana Grande: chissà perché mai un uomo di sessantaquattro anni, pensionato e golfista, che non è mai stato segnalato alla polizia neppure per una multa, debba odiare le stesse cose che odiano i terroristi islamici, i ragazzi che cantano, suonano, ballano, quella disinibizione, quella momentanea felicità. E qui non c’entra nulla difendere il proprio stile di vita che gli islamisti vogliono mettere in crisi: chi più di Stephen Paddock rappresenta l’american way of life?
È una figura assolutamente nuova nel panorama della follia: c’erano i serial killer, che seminavano lunghe scie di morte, e compivano atti di brutalità inimmaginabile: si potevano acciuffare, ricostruendo percorsi psicologici tormentati e tortuosi, mettendo assieme indizi che non combaciavano per nulla, insomma si riusciva, anche con un colpo di fortuna; c’erano i followers di questa o quella setta, persone insospettabili che venivano calamitate dalla perdizione, dall’idea di compiere gesti barbari e gratuiti e poi rientrare nell’ordine, come una finestra che si apriva sul nulla, sul male, e poi si richiudeva; a volte si ammantavano di discorsi oracolari e profetici, a volte no, a volte si immolavano, a volte no; e c’erano quelli di “ordinaria follia”, persone assolutamente tranquille, routinarie che invece coltivavano un lato oscuro, che praticavano raramente ma con costanza. Tutto questo non è mai stato patrimonio solo americano – la storia e l’attualità europee dell’ovest e dell’est sono costellate di episodi simili, anche se lì ha assunto quasi sempre proporzioni spaventose – come se l’essere la terra dei Grandi Laghi, delle Grandi Praterie, dei Gran Canyon, delle Grandi Sequoie, potesse anche giustificare la presenza dei Grandi Assassini.
Ma dopo l’11 settembre è come se il Male avesse vomitato e sparso i suoi demoni, di qua e di là dell’Atlantico. C’è quello che aggredisce con un coltello o una mannaia, al grido di Allah u Akbar, e quelli che si organizzano con un Tir per colpire la gente che esce d’estate la sera per un gelato o una bibita sulla passeggiata di Nizza o sulle Ramblas a Barcellona. Per quel che vale, l’Isis potrebbe domani rivendicare l’aggressione di Marsiglia o la follia omicida di Stephen Paddock, cosa cambierebbe?
L’imprevedibilità della morte, la sua accidentalità, sembra proprio il contrario di tutta la nostra “cultura” – noi non facciamo che pianificare la nostra salute, è la conquista del progresso medico e scientifico. Solo la guerra rimetteva in discussione tutto questo, ma essa è diventata una cosa astratta, lontana.
Almeno sinora.

Nicotera, 2 ottobre 2017
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 3 ottobre 2017.
fonte immagine: «Orlando Sentinel».

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