Quando De Gaulle fermò il Tour per stringere la mano al leone del Mugello.

Non è una cosa da tutti avere un canale televisivo con il proprio nome. Neanche se sei un campione. Eppure a Gastone Nencini è successo. Nel 2012 in Toscana gli è stato intitolato un canale televisivo regionale che si chiama, per l’appunto, Gastone Nencini; un canale che trasmette solo servizi relativi al ciclismo, che da quelle parti è uno sport amato anche tra i giovanissimi. Il ricordo del “leone del Mugello” perciò continua a essere vivo – e proprio ieri l’altro a palazzo del Pegaso, sede del Consiglio regionale, è stata inaugurata una mostra fotografica curata dalla figlia Elisabetta. L’occasione d’altronde è notevole: quest’anno, sono sessant’anni esatti dalla vittoria di Nencini al Giro d’Italia.
In verità, avrebbe dovuto vincere già quello del 1955. A due giornate dall’arrivo a Milano, in una tappa che poteva essere più che tranquilla Nencini, che era maglia rosa, fora due volte consecutive – e allora forare era proprio una iattura, anche se l’Ammiraglia ti stava vicino i tempi per cambiare una ruota erano lentissimi, e due volte poi. Forse ci fu un eccesso di fiducia, Nencini stava dietro a controllare la corsa. Ma Coppi e Magni si misero d’accordo e attaccarono. Quando scattarono e macinarono un po’ di vantaggio, Nencini partì alla rincorsa – e lì bucò due volte. Lo dichiararono “vincitore morale”, ma sull’albo d’oro il nome per il 1955 non è il suo. Si giustificò, quasi, poi l’Airone, dicendo che stava diventando “vecchio” e quella sarebbe potuta essere la sua ultima vittoria, e quindi andava acchiappata l’occasione – Nencini era giovane e avrebbe avuto tutto il tempo per rifarsi. In realtà, sull’albo d’oro il nome è quello di Fiorenzo Magni, e Coppi si piazzò solo secondo – e dopo quella vittoria di tappa a San Pellegrino non vinse, davvero, più nulla di importante.
Una combine, insomma. Nel ciclismo queste cose succedevano. D’altronde, il Giro del 1957 Nencini lo vinse anche per la rivalità che Charly Gaul, grandissimo campione lussemburghese, magnifico scalatore, aveva con Louison Bobet, campione francese. A poche tappe dalla fine, diciottesima tappa, Gaul è maglia rosa, e d’altronde aveva vinto il Giro l’anno precedente, è in formissima, forse il suo momento migliore. Alla partenza Gaul aveva 56 secondi di vantaggio su Nencini e un minuto e diciassette secondi su Bobet. Sulla strada che da Como porta alla vetta sconsacrata del Bondone, dopo 102 chilometri, Gaul si attarda per una sosta – insomma, deve fare pipì. I francesi allora attaccano, e Nencini e la sua squadra vanno con loro. Quando Gaul si rende conto dello sgarbo prova a riacciuffarli ma deve fare tutto da solo, si stanca a strappare e arriva con dieci minuti di ritardo, un’enormità, che gli saranno fatali. La tappa è vinta da Poblet, uno spagnolo buon passista che andava fortissimo in salita – per tre anni era stato campione di Spagna degli scalatori. Nencini è maglia rosa. Ma ha solo un pugno di secondi di vantaggio su Bobet. Il giorno dopo, in una tappa determinante, a Levico Terme Nencini fora e Bobet attacca, ma Gaul si schiera con Nencini, lo riporta sul gruppo, sibila a Bobet, “Questo giro tu non lo vinci perché mi hai tradito. Questo Giro lo vince Nencini”, e va a vincere la tappa, e arrivano quasi tutti insieme. Nencini vincerà quel Giro. Un risarcimento morale per quello del ’55.
Nencini era diventato professionista nel 1953 quando la stella di Bartali andava ormai spegnendosi – si ritirerà l’anno dopo – e quella di Coppi avrà il suo fulgore – è l’anno in cui diventa campione del mondo su strada – per poi finire in un destino malvagio. Ma non sarà una vita facile, la sua. Nuovi campioni emergono – i belgi, i francesi, soprattutto, e, tra gli italiani, Ercole Baldini.
Nencini è un corridore anomalo. Quanto Coppi era elegante e tattico, e Bartali agonista e tenace, Nencini manda all’aria tutte le strategie che pure sono necessarie soprattutto nelle corse a tappe. È un corridore di passione, d’istinto, d’agonismo. Toscano come il Bartali, ma di tutt’altro carattere – uomo taciturno lui, quanto loquace quello e sempre a punzecchiare – che non amava la ribalta e anzi si schermiva (la figlia ricorda come non sia rimasto nulla delle sue storiche maglie di vittoria, che regalava, e dei suoi trofei, che teneva in cantina, e l’unico dei quali stesse in mostra serviva da fermaporta), non disdegnava sigari e mangiate; diverse foto lo ritraggono mentre a bordo strada, riposandosi, spipacchia il suo tabacco. Era fisicamente forte, molto forte. Un pezzo d’uomo di un metro e ottanta e molto atletico. Tenebroso, faceva stragi di cuori. E dava spettacolo.
Era questo che lo faceva amare dal pubblico. In discesa andava giù come un demonio, era il suo punto di forza – lui audace, gli altri prudenti. Cadeva anche lui, certo; una prima volta al Tour, proprio nel 1957, l’anno della sua vittoria al Giro: siamo alla diciassettesima tappa, e lui si fa una ferita profonda al gomito e tutti sono convinti che si ritirerà; invece, il giorno dopo si presenta e batte tutti, compreso quel Jacques Anquetil che dominò quella Grande Boucle. La seconda volta fu nel 1961, sulle Croci di Calenzano, riportando una profonda ferita alla testa e la frattura di alcune vertebre, e di fatto lì si chiuse la sua carriera.
Ma erano soprattutto gli altri, a cadere, nel tentativo di stargli dietro in discesa. La più drammatica di questa cadute fu quella che toccò a Roger Rivière, buon ciclista, grandissimo pistard – fu anche campione del mondo nell’inseguimento: al Tour de France 1960, durante la 14ª tappa, nella discesa del Col de Perjuret, Massiccio centrale, Rivière uscì di strada mentre inseguiva Nencini, suo rivale per la vittoria finale – da cui aveva due minuti di distacco –, precipitando in un dirupo. Nella caduta riportò la frattura della colonna vertebrale e rimase paralizzato alle gambe. Una tragedia.
Nencini vinse quel Tour, rifacendosi del Giro perso da Anquetil primo a Milano per soli ventotto secondi, e lo vinse in una maniera assolutamente anomala: senza conquistare una tappa. Aveva imparato a gestire le corse.
Quel Tour però passò alla storia per un’altra cosa – oltre la rovinosa caduta di Rivière e l’ennesima vittoria di un italiano. È la ventesima tappa, la penultima, e manca ormai un niente per Parigi. Nencini guida la classifica, è in maillot jaune, in maglia gialla. Allora succede che il generale De Gaulle, che era nella sua residenza a Colombey-les-Deux-Eglises, ferma il Tour e tutto il plotone, va incontro a Nencini, gli stringe la mano e gli dice: «Bonne chance, Monsieur Nencini, vous allez gagner le Tour».
Non è una cosa da tutti che De Gaulle ha fermato il Tour per stringerti la mano – a quante persone De Gaulle avrà stretto la mano? Anche se sei un campione.
Beh, a Gastone Nencini è capitato.

Nicotera, 12 maggio 2017
pubblicato su “il dubbio”, quotidiano del 13 maggio 2017

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