«In tempi immemorabili si eressero montagne, si mossero fiumi, si formarono laghi. La nostra Amazzonia, il nostro chaco, il nostro altopiano e le nostre pianure e valli si coprirono di verde e di fiori. Popolammo questa sacra Madre Terra con visi differenti, e comprendemmo sin da allora la pluralità vigente in tutte le cose e la nostra diversità come esseri e culture. Così abbiamo formato i nostri popoli, e non comprendemmo mai il razzismo fino a quando non lo abbiamo sofferto dai funesti tempi della colonia». È il Preambolo alla Nuova Costituzione Boliviana, approvata nel 2008.
Lo ha citato papa Francesco, rivolgendosi a Evo Morales, primo presidente indio della Bolivia, e al popolo boliviano. Il papa, in questo viaggio tra Ecuador, Bolivia e Paraguay, si è potuto fermare a La Paz solo poche ore: l’altitudine – la capitale boliviana è a 3650 metri sul livello del mare – gli avrebbe causato difficoltà alla respirazione, visto che ha mezzo polmone in meno per un’infezione di tanti anni fa. E poi doveva arrivare a Santa Cruz, altra città della Bolivia, dove si è tenuto, tra il 7 e il 9 luglio, il Secondo incontro mondiale dei Movimenti popolari. L’anno scorso si sono incontrati a Roma, a ottobre. C’era anche Morales, e ci sarà anche quest’anno, come capo del cartello dei “cocaleros,” i raccoglitori di coca.
Lo ha voluto papa Francesco questo incontro, che in pratica è la prosecuzione dei Social forum nati a Porto Alegre: l’anno scorso c’erano tutti, da Banca Etica ai Sem Terra, gli Indignados e quelli di Democracia real Ya spagnoli, la Caritas internationalis e Via Campesina, il sindacato brasiliano Cut e lo United Steelworkers degli Stati uniti. E i greci e centri sociali italiani. E i cartoneros argentini, i raccoglitori di cartone, e le empresas recuperadas che hanno permesso a molta gente di sopravvivere con il riciclaggio di ogni cosa alla terribile crisi di Buenos Aires – Bergoglio ci tenne molto alla loro presenza. Sono un centinaio di sigle da tutto il mondo.
L’incontro è stato aperto dal cardinale Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che rivolgendosi ai rappresentanti dei movimenti ha usato espressioni nette: «La Chiesa riconosce, valuta e promuove queste espressioni popolari. La Chiesa desidera promuovere con voi nuovi stili che pongano la dignità delle persone avanti al consumo sfrenato. La Chiesa vi accompagna nella preoccupazione per le vostre lotte e per i doni della nazione». I movimenti consegneranno al papa un documento, perché se ne faccia interprete. Può sorprendere questa “sponda” offerta dalla chiesa ai movimenti sociali, come d’altronde la disponibilità dei movimenti, però le cose vanno cambiando in fretta. Non sono tanto le battute di papa Francesco – Gesù è stato il primo comunista della storia, Non sono mai stato trotzkista, ma ho molti amici trotzkisti.
Il fatto è che su temi quali la lotta al “land grabbing” – l’acquisto di enormi appezzamenti di terre destinati a culture intensive in genere di biocarburanti – o la destinazione universale dei beni, rappresentato dalle moltissime organizzazioni impegnate nella difesa delle sovranità alimentare dei popoli in tutti i continenti, le comunità indigene, o il coordinamento delle donne rurale di moltissimi Paesi, o delle organizzazioni che curano l’accesso al credito contro le regole delle grandi banche, ecco, su queste cose Bergoglio c’è. E la chiesa latino-americana c’è stata sempre.
Ieri, lungo il percorso dall’aeroporto alla capitale boliviana, il papa si è fermato un momento con la sua papamobile. Si è fermato nel luogo dove nel 1980 fu ritrovato il cadavere, torturato, massacrato, di padre Luis Espinal Camps, un gesuita come lui. Padre Espinal, nato in Spagna nel 1932, fu missionario in Bolivia dal 1968. Cineasta, speaker radiofonico, lavorò al fianco dei minatori e dei poveri per la promozione dei diritti umani e in difesa della democrazia. Nel 1977 partecipò a uno sciopero della fame di 19 giorni per chiedere libertà e democrazia per la Bolivia. Il regime di Hugo Banzer Suarez e Luis Garcia Meza gliela giurò. La sera del 20 marzo 1980 padre Espinal fu rapito dai paramilitari. Il suo corpo venne rinvenuto all’ottavo chilometro della strada per Chacaltaya, lungo il fiume Choqueyapu, proprio nel punto un cui la papamobile con a bordo Francesco si è fermata ieri sera per onorare la memoria del suo confratello. «Ricordiamo qui un nostro fratello vittima di interessi, di quelli che lo hanno ucciso e che non credevano che lottava per la libertà della Bolivia, lui credeva nel Vangelo, e il Vangelo ha onorato». Così ha detto Francesco.
Evo Morales gli ha donato un crocefisso fatto da padre Espinal – Gesù è inchiodato al manico di un martello e una falce ne incorona testa. E gli ha donato anche una placca con lo stesso simbolo che è in realtà un’onorificenza che viene consegnata in Bolivia a chi si batte dalla parte dei poveri. Non so come l’abbia presa Francesco.
Le cose cambiano in fretta in Sudamerica. Frei Betto, il sacerdote domenicano brasiliano che è stato uno dei leader della teologia dalla liberazione, uno davvero sorprendente – che so, è convinto che bisogna riabilitare Giordano Bruno –, l’anno scorso, in occasione del Primo incontro mondiale dei movimenti disse che «per la prima volta nella storia della Chiesa, il papa cambia interlocutori e ascolta coloro che veramente rappresentano i poveri». Poi, si è tolto un sassolino dalla scarpa: Frei Betto ricorda che l’unico precedente era stato un incontro di Karol Wojtyla nel 1980 durante il primo viaggio in Brasile nella cappella del Collegio Santo Americo a San Paolo con alcuni sindacalisti, tra cui Lula, ma – aggiunge – «si trattò di un incontro protocollare».
Stavolta, il viaggio di Bergoglio non è protocollare. Le cose stanno cambiando in fretta.
Nicotera, 9 luglio 2015