
la rivolta di questi giorni in francia è legittima. sottolineo questo concetto: il paese con la costituzione “formale” più egualitaria – dovremmo dire: il paese che ha fondato la sovranità nel popolo e i diritti dei cittadini – è lo stesso paese in cui la costituzione materiale differenzia profondamente quegli stessi cittadini. di più – ci sono cittadini con una cittadinanza “piena” e cittadini con una cittadinanza “vuota”. non sono “spogliati” di diritti, ma la loro vita rimane al di qua dei diritti – vite biologiche che non diventano mai politiche. se non nella rivolta – che è politica.
trovo perciò che questi giorni di rivolta – che coinvolgono soprattutto giovani e giovanissimi – siano diversi da quelli dei gilet gialli, innescati da una protesta per l’aumento del prezzo del gasolio e da quelli contro la riforma delle pensioni (a cui comunque le banlieue hanno partecipato, ma, come dice un giovane intervistato, con ironia: non ci avete visto): nell’un caso e nell’altro, erano cittadini francesi che protestavano contro il proprio governo, qui si tratta invece di francesi-non-cittadini, o meglio: di non-cittadini che non diventeranno mai francesi. protestano contro la vita che è loro riservata. si contano i danni – nessuno ha mai contato “i danni” di vite non vissute pienamente.
la violenza – piaga endemica – della polizia, che non è solo quella di questi giorni nelle piazze ma che si esercita con un esasperante controllo continuo animato dall’arroganza e dal disprezzo, in una parola dalla provocazione, attesta solo questo: la violenza della polizia è un esercizio funzionale a mantenere “al loro posto” (letteralmente: nelle banlieue) i non-francesi non-cittadini: non c’è alcuna via possibile d’uscita, se non accettando il “contratto sociale” basato sulla differenza tra cittadini “legittimati” e non-cittadini “non-legittimati”, che è la norma fondamentale della francia. si è sempre “non ancora” del tutto francesi, ma il fatto è che non si diventerà mai “davvero francesi”.
come è in america – a cui non sono certo mancate mai le rivolte dei ghetti, la grande stagione delle battaglie dei diritti civili, la violenza “costitutiva” della polizia. ma il punto, a mio parere, non è il razzismo.
le migrazioni epocali a cui assistiamo – nel mediterraneo, ai muri del messico, dall’est europa, dal medioriente, dall’asia – sono l’altra faccia della globalizzazione dei mercati. e anche delle produzioni. e nessuno stato è in grado di “accogliere” questi flussi e queste speranze di nuova vita. la crisi degli stati nazionali, e dei loro welfare, non è dovuta alla globalizzazione dei mercati – in cui continuano a avere un ruolo di regolazione – ma è dovuta alla globalizzazione delle speranze di vita: a un “volere di più” del mondo, dal mondo. la risposta è quella – siete racaille. ma questi non sono “black bloc” – non è mai il gesto violento della piazza a “dare il segno” di una politica. vedremo come – e speriamo – si evolveranno in “agire politico” le rivolte di questi giorni.
ma questi sono, gramscianamente (se mi è concesso), blocco sociale. e più che gramscianamente (se mi è concesso), “blocco vitale”.
allons enfants.
Nicotera, 6 luglio 2023.